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Giambattista Basile, Giovambattista Marino, Ludovico Ariosto, Matteo Maria Boiardo, Torquato Tasso

Mantova sembra avere un rapporto particolare con i poeti (Virgilio è nato qui, Dante e Petrarca da qui sono passati sulle tracce del mantovano) che forse han bisogno di una pianura infinita che gli consenta di raggiungere le vette della fantasia. Ma sono stati soprattutto i Gonzaga ad attirare letterati che potessero farli sognare: rivivendo antiche avventure, immedesimandosi nei cavalieri e nei crociati e inseguendo i virtuosismi barocchi di poesie e fiabe. Allora ecco almeno 5 poeti da ricordare tra quelli passati per il Palazzo ducale e particolarmente versati in poemi e fiabe.
Matteo Maria Boiardo (1441 Scandiano – 1494 Reggio nell’Emilia)
Questo nobile emiliano che ha frequentato la corte estense di Ferrara come cortigiano al servizio dei duchi scrive un poema in ottave dal titolo L’innamoramento di Orlando. Le fonti non ci dicono se davvero passò per Mantova ma come dubitarne vista la vicinanza non solo geografica (Scandiano è a un tiro di schioppo) ma anche culturale e di rapporti tra le due corti. Sembra addirittura che il marchese Francesco abbia fatto trascrivere l’Orlando per inviarne copia a Federico da Montefeltro che l’aveva richiesta. Ecco l’inizio del poema:
1
Signori e cavallier che ve adunati
Per odir cose dilettose e nove,
Stati attenti e quïeti, ed ascoltati
La bella istoria che ’l mio canto muove;
E vedereti i gesti smisurati,
L’alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo del re Carlo imperatore
Ludovico Ariosto (1471 Reggio nell’Emilia – 1533 Ferrara)
Qui non ci sono dubbi: Ludovico Ariosto è passato più volte per Mantova e ne abbiamo notizia da lettere e note di archivio. Reggiano come Boiardo, cortigiano come lui tanto da essere spedito come governatore estense a Castelnuovo in Garfagnana, decide di proseguire la narrazione dove finisce l’Innamoramento di Orlando. Con l’Orlando Furioso (nel 2016 si sono celebrati i 500 anni dalla prima edizione) Ariosto realizza un’opera che diventa uno dei best seller dell’epoca, continuando a lavorarci fino alla morte con modifiche e variazioni. Ricordiamo una lettera di Ippolito Calandra che il 5 maggio del 1516 scrive a Federico Gonzaga che è arrivato da pochi giorni a Mantova Lodovico Ariosto e ha portato con sè una cassa di libri, “li quali lui a composto sopra a Orlando” (ne ha regalati alcuni mentre “li altri lui li vole fare vendere”). Ecco l’incipit del poema nella sua ultima versione.
1
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
Torquato Tasso (1544 Sorrento – 1595 Roma)
I rapporti tra Mantova e Torquato Tasso sono molto forti e partono da lontano visto che il padre Bernardo fu governatore a Ostiglia nel 1569 (sepolto in S.Egidio a Mantova fu poi traslato a Ferrara). Ma il poeta passò anche per Mantova dove fu ospite di Vincenzo Gonzaga che ne aveva ottenuto la liberazione dall’Ospedale di S.Anna a Ferrara dove si trovava prigioniero per curarne la pazzia. Fu lui che scrisse “questa è una bellissima città e degna c’un si mova mille miglia per vederla” (anche se dobbiamo pensare che dopo essere stato liberato dal manicomio qualunque luogo gli sarebbe parso idilliaco). Il suo poema più famoso è La Gerusalemme Liberata, testo non gradito all’inquisizione e per questo conosciuto anche sotto il titolo di Gerusalemme conquistata (versione rivista dal poeta con l’eliminazione delle scene amorose, una sorta di Nuovo Cinema Paradiso dove si tagliavano i baci). Ecco l’inizio del poema nella versione della Gerusalemme liberata.
Canto l’arme pietose e ‘l capitano
che ‘l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò co ‘l senno e con la mano,
molto soffrí nel glorioso acquisto;
e in van l’Inferno vi s’oppose, e in vano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto.
Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi
segni ridusse i suoi compagni erranti.
Giovan Battista Marino (1569-1625 Napoli)
Poeta e avventuriero, conobbe il carcere varie volte ma fu soprattutto un grafomane incallito lasciando migliaia di versi, lettere e altre opere. Famoso anche per il suo virtuosismo linguistico Marino passò per Mantova varie volte (una sicuramente in occasione del matrimonio tra Francesco IV e Margherita di Savoia) e fu in contatto con i Gonzaga e in particolare con Vincenzo I e con suo figlio Ferdinando. E’ quasi impossibile orientarsi nella monumentale produzione del poeta che comprende rime di tutti i generi e anche le cosiddette “fischiate”, invettive nei confronti del rivale poeta Gaspare Murtola che lo aveva accusato tra le altre cose di sodomia. Noi qui ricordiamo l’Adone, il poema più lungo di tutta la letteratura italiana, pubblicato a Parigi nel 1623 e finito nell’Indice dei libri proibiti dopo la morte di Marino. Ecco l’incipit del poema:
Io chiamo te, per cui si volge e move
la più benigna e mansueta sfera,
santa madre d’Amor, figlia di Giove,
bella dea d’Amatunta e di Citera;
te, la cui stella, ond’ogni grazia piove,
dela notte e del giorno è messaggiera;
te, lo cui raggio lucido e fecondo
serena il cielo ed innamora il mondo;
Giambattista Basile (1566 – 1632 Giugliano in Campania)
Poeta, scrittore, cortigiano Basile è noto soprattutto per Lo cunto de li cunti, overo lo trattenemiento de peccerille pubblicato postumo dalla sorella Adriana Basile, famosa cantante all’epoca. Fu proprio lei a chiamare Giambattista a Mantova (dove si trovava al servizio di Vincenzo Gonzaga) e lo scrittore vi soggiornò tra il 1612 e il 1613 un periodo difficile per la città che passò nello stesso anno dalla morte di Vincenzo Gonzaga a quella del suo successore Francesco IV. Chissà perché Basile non rimase nella nostra città che in quel periodo, nonostante le difficoltà politiche ed economiche, aveva raggiunto il suo punto più alto prima della pesante caduta del sacco. Ecco allora l’inizio de Lo Cunto de li Cunti che fu scritto in lingua napoletana.
Fu proverbeio de chille stascioniato, de la maglia antica, che chi cerca chello che non deve trova chello che non vole e chiara cosa è che la scigna pe cauzare stivale restaie ’ncappata pe lo pede, come soccesse a na schiava pezzente, che non avenno portato maie scarpe a li piede voze portare corona ’n capo. Ma, perché tutto lo stuorto ne porta la mola e una vene che sconta tutte, all’utemo, avennose pe mala strata osorpato chello che toccava ad autro, ’ncappaie a la rota de li cauce e quanto se n’era chiù sagliuta ’mperecuoccolo tanto fu maggiore la vrociolata, de la manera che secota.
Giacomo Cecchin
#Mantova2016
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