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Acqueforti, Anime morte, Bibbia, Favole, Gogol, incisioni, La Fontaine, Mantova, Marc Chagall, Palazzo della Ragione, Teatro ebraico di Mosca, Vitebsk
Ci sono due notizie da dare a chi volesse venire a vedere la mostra su Chagall a Mantova: una brutta e una bella. Vi comunico prima la brutta: alla mostra di Mantova non si trova lo Chagall più famoso, quello delle capre che volano, dei violinisti sul tetto, dei colori e degli innamorati che si tengono per mano (in realtà qualcosa c’è ma non abbastanza per gli appassionati dello Chagall che tutti conosciamo).
Ma c’è anche una bella notizia: la mostra del Palazzo della Ragione ci racconta lo Chagall degli anni russi, quelli della formazione del pittore, e la sua attività di illustratore di storie della bibbia, delle favole di La Fontaine e delle Anime Morte di Gogol. E’ il periodo meno conosciuto di Chagall ed è pertanto una bella occasione per cambiare la nostra idea dell’artista e togliere alcune delle etichette con cui di regola lo classifichiamo.La mostra è allestita all’interno del recentemente restaurato Palazzo della Ragione, nel pieno centro di Mantova, ed è organizzata in 5 passaggi che partono dalle acqueforti realizzate dall’artista russo per l’editore francese Vollard per arrivare poi alle opere su tela e chiudere con la ricostruzione della decorazione realizzata per il Teatro ebraico da camera di Mosca.
Questa sequenza disorienta un po’ il visitatore che non è accolto dai classici colori di Chagall ma da incisioni in bianco e nero e deve resistere fino alla quarta sezione prima di entrare a contatto con dei dipinti che presentano i tipici elementi del pittore russo.
Eppure queste acqueforti sono veramente molto interessanti perché raccontano di un artista a tutto tondo che fa della sua voglia di raccontare una delle sue caratteristiche fondamentali e della voglia di sperimentare media diversi uno degli elementi della sua arte.
L’acquaforte è infatti un’incisione tra le più complesse da realizzare e Chagall dimostra una maestria davvero incredibile nella gestione del chiaro scuro e delle linee, sfruttando tra l’altro una capacità di sintesi davvero unica: penso ad esempio per la bibbia all’incisione di Davide che vede Betsabea al bagno e a come riesce a rendere l’acqua della vasca in cui si bagna la ragazza. Mi riferisco per le favole a quella della Volpe e l’Uva dove in uno spazio vuoto e con un taglio moderno e cinematografico vediamo solo il muso dell’animale (in basso a destra) e il grappolo (in alto a sinistra) ma la tensione e il desiderio sono palpabili. Le acqueforti che illustrano le Anime Morte invece sono caratterizzate da uno stile satirico, quasi fumettistico e mettono in evidenza l’amaro umorismo del testo originale. Dopo tanto bianco e nero si arriva finalmente al colore e si entra nel tipico mondo di Chagall con i due innamorati che volano sulla cittadina di nascita del pittore Vitebsk, con Marc e Bella innamorati che guardano fuori da una finestra verso un paesaggio di betulle e altre immagini che raccontano l’universo che da sempre caratterizza l’artista russo. Ma è l’ultima stanza che vale da sola il biglietto: si entra infatti in un ambiente dove viene ricostruito lo spazio del teatro ebraico da camera di Mosca che è l’ultima opera realizzata da Chagall prima della sua partenza dalla Russia. L’emozione è grande e colpiscono non solo le dimensioni delle tele ma anche l’immaginazione, la fantasia, l’energia e la forza con cui il pittore descrive la sua idea di teatro. E’ un ambiente vivo e basta chiudere gli occhi per immaginare il palcoscenico sul fondo (dove c’era la cucina, il teatro infatti è uno spazio unico realizzato demolendo le pareti divisorie di un appartamento), sentire la tipica musica klezmer e il brusio degli spettatori che aspettano l’inizio dello spettacolo.
A sinistra un grande telero racconta la storia di come Chagall abbia iniziato a dipingere per il teatro con lo stesso pittore e la sua tavolozza, delle mucche verdi e bianche, dei violinisti che non sanno suonare e un’orchestra che fa muovere alcuni attori che fanno acrobazie. Sulla parete d’ingresso vediamo un quadro che risente dell’influenza del cubismo (anche se Chagall non sarà mai un fanatico degli -ismi) e presenta due ballerini innamorati. Alla parete destra quattro tele (qui c’erano le finestre e non si poteva realizzare un dipinto unico) che descrivono gli elementi del teatro: la letteratura, la danza, la musica e gli attori. Particolarmente affascinanti le figure del violinista sul tetto (con la piccola figurina dell’uomo che fa i suoi bisogni in alto a sinistra) e quella dell’attore, una specie di matto che in questo caso sta facendo un discorso durante un matrimonio. Ecco se decidete di andare a vedere la mostra il mio consiglio è questo: fate bene i conti e calcolate bene i tempi per passarne il più possibile all’interno del teatro di Chagall. Un’esperienza davvero totalizzante. Un’ultima curiosità: quando Chagall tornerà in Russia nel 1973 non vorrà tornare a Vitebsk. La sua Vitebsk non c’era più, era quella della sua infanzia e della sua storia d’amore con Bella. Però accetterà volentieri di rivedere i suoi teleri per il teatro, salvati dalla distruzione da un suo amico. Ebbene l’artista si accorge di non averli firmati all’epoca della realizzazione: lo farà nel 1973, dichiarando concluse le opere e assumendosene la paternità. Se potessi parlargli gli direi: “Marc, non c’era bisogno che le firmassi, perché sono Chagall allo stato puro”.
Per approfondire
Il sito ufficiale della mostra (la mostra chiuderà domenica 3 febbraio 2019)