propeller-henry-v1Oggi è il 25 ottobre 2014, l’anniversario della battaglia di Agincourt in cui il re inglese Enrico V sconfigge un esercito francese molto più numeroso. Il Teatro offre spunti interessanti per i manager e gli imprenditori.
Gli attori devono sentirsi a loro agio nella parte per essere convincenti. Chiunque abbia avuto occasione di parlare davanti ad un pubblico numeroso o semplicemente di fronte ai propri dipendenti sa quanto sia facile risultare scontati o vuotamente retorici.
L’imprenditore deve riuscire a stimolare la propria squadra aziendale, spingendola a lavorare insieme per il raggiungimento dei comuni obiettivi. Gli strumenti per farlo sono la parola, il tono, il timbro di voce e, come sempre, i contenuti.
Spesso è difficile individuare la strategia corretta per spronare persone ormai demotivate a causa di precedenti insuccessi o spaventate dal confronto con problemi che sembrano insormontabili.
Se pensiamo al teatro, forse le opere di Shakespeare sono quelle più interessanti, ricche di personaggi a tutto tondo che si confrontano con la paura di vincere e soprattutto con il rischio della sconfitta.
Riportiamo di seguito un esempio classico di questa situazione: Enrico V nel 1415 si trova ad affrontare ad Agincourt un esercito francese più numeroso e meglio armato del suo.
I cavalieri inglesi sono sfiniti, malati e sfiduciati, pronti ad essere sconfitti. Enrico sa bene che la sola possibilità di vittoria passa attraverso la motivazione personale e pertanto si gioca tutto nel discorso che tiene ai suoi soldati prima della battaglia. Chi non lo seguirebbe dopo aver ascoltato queste parole?

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Campo inglese

Westmoreland: Oh! se avessimo qui anche sola­mente diecimila di quegli Inglesi che in pa­tria se ne stanno sfaccendati oggi!

Re Enrico: Chi esprime questo desiderio? Mio cugino Westmoreland?

No, mio bel cugino; se è destino che si muoia, siamo in numero sufficiente a costituire per la patria una gra­ve perdita; e se siamo destinati a soprav­vivere, meno siamo e tanto più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di Dio, ti prego, non augurarti che abbiamo un solo uomo di più.

Per Giove! non sono avido di denaro, né mi curo di vedere chi man­gia a mie spese; e non mi addoloro se altri porta i miei abiti. Tali cose esteriori non sono nei miei desideri: ma se è un peccato essere avido di onore, allora sono l’anima più peccatrice di questo mondo. No, cugino mio, non augurarti neanche un solo soldato che ci venga dall’Inghilterra. Alla pace di Dio! Non vorrei perdere quel tanto d’onore che un sol uomo di più potrebbe condivi­dere con me, neanche se ne andasse di mezzo la salvezza dell’anima mia.

Oh! Non desiderarne neanche uno; e piuttosto, West­moreland, fa’ proclamare in tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di combattere se ne vada; gli daremo il passaporto e gli metteremo in borsa i denari per il viaggio. Non vorremmo morire con alcuno che te­messe di esserci compagno nella morte.

Og­gi è la festa dei Santi Crispino e Crispiniano: chi sopravviverà e tornerà a casa, si leverà in punta di piedi e si farà più grande al nome di San Crispiniano. Chi non morirà oggi e vivrà sino alla vecchiaia, ogni anno, la vigilia, conviterà i vicini e dirà: «Do­mani è San Crispiniano»: poi tirerà su la manica e mostrerà le cicatrici e dirà: «Que­ste ferite le ebbi il giorno di San Crispino». I vecchi dimenticano: egli dimenticherà tut­to come gli altri, ma ricorderà le sue gesta di quel giorno e fors’anche un pochino di più.

E allora i nostri nomi, che saranno termini familiari in bocca sua, re Enrico, Bedford e Exeter, Warwick e Talbot, Sa­lisbury e Gloucester, saranno ricordati di nuovo in mezzo ai bicchieri traboccanti: que­sta storia il buon uomo insegnerà a suo figlio. E sino alla fine del mondo il giorno di San Crispino e San Crispiniano non pas­serà senza che vengano menzionati i nostri nomi.

Felici noi, noi pochi, schiera di fra­telli; poiché chi oggi spargerà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto bassa sia la sua condizione questo giorno la nobi­literà: molti gentiluomini che dormono ora nei loro letti in Inghilterra malediranno se stessi per non essere stati qui oggi, e non parrà loro neanche di essere uomini quando parleranno con chi avrà combattuto con noi il giorno di San Crispino.

Tutto è pronto, se lo sono anche i nostri cuori. Ora non desideri altri aiuti dall’Inghilterra, cugino?

Westmoreland: Per Dio! mio sire, vorrei che voi ed io soli senz’altro aiuto potessimo com­battere questa regale battaglia!