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Il manifesto del film su Rigoletto girato a Mantova

Quanti turisti porterà il Rigoletto televisivo a Mantova? Non lo so ma da sempre le storie appassionanti, vere o false che siano, conquistano chi le ascolta e li spingono a visitare i luoghi dove si svolgono. Rigoletto è stato un colpo di fortuna per Mantova. Una storia che è un doppio falso: un personaggio inventato ma verosimile e una vicenda che, inizialmente, non era ambientata a Mantova.

Verdi si innamora di un dramma scritto da Victor Hugo che si intitola “Le Roi s’amuse”. La storia è ambientata nella Francia del ‘500 e protagonisti sono il re Francesco I, il buffone Triboulet e sua figlia, il sicario Saltabadil.

La trama è molto simile a quella che tutti oggi conosciamo e che ci conquista sempre, nonostante si sappia già come vada a finire. E’ una storia che piace a tutti tranne che alla censura austriaca dell’800 che la considera indecente e non rappresentabile sul palcoscenico veneziano del Teatro La Fenice per i suoi contenuti scabrosi.

Verdi è inferocito e spinge Piave a riscrivere il libretto (la musica è già perfetta). Allora si pensa a Mantova e al suo duca, Federico II, libertino quanto basta per commissionare Palazzo Te e fascinoso al punto giusto per conquistare i cuori di giovani fanciulle. D’incanto Parigi diventa Mantova, Triboulet Rigoletto e Saltabadil Sparafucile.

Mantova diventa verdiana con la casa del buffone in piazza Sordello (ci vivevano i canonici della cattedrale) e oltre il lago l’osteria del sicario (l’antica rocchetta di San Giorgio). Una nota divertente: il duca è solo “di Mantova” senza riferimenti alla famiglia Gonzaga i cui discendenti ancora in vita avrebbero potuto creare problemi per come era stato dipinto il “nonno”.

Rigoletto è una storia francese che trova a Mantova il suo scenario perfetto (la nebbia, il lago, il Palazzo ducale) e che oggi porta nella nostra città sicuramente più turisti di quanto non richiami Virgilio. Se la storia è buona, non serve sia vera.

Lo dimostra il fatto che quando si spiegano ai viaggiatori le vicende dei Sacri vasi e si fa riferimento al Graal e al sangue di Cristo, quasi tutti chiedono perché, se la reliquia è effettivamente autentica, non ne abbia parlato Dan Brown nel Codice Da Vinci. Sospendiamo il giudizio sulle qualità di storico dello scrittore americano e su chi si faccia instillare dubbi da affermazioni improbabili come quelle contenute nel best-seller.

Ma è una realtà che i turisti affollano il Cenacolo con in mano il Codice da Vinci alla ricerca della Maddalena e si recano alla cappella di Rosslyn in Scozia per le medesime ragioni. Allora è tempo che dopo Virgilio, Teofilo Folengo e Verdi ci sia qualcun altro che abbia voglia di ambientare una storia appassionante a Mantova.

Certo c’è stata anche Maria Bellonci, che tanto ha fatto per far conoscere i Gonzaga e le loro gesta. Ma forse le sue storie sono troppo vere, troppo basate sulle ricerche di archivio per coinvolgere ancora la maggior parte dei lettori.

Quello che forse serve alla città è un romanzo di pura finzione, verosimile ma non vero, e che conquisti talmente tanto i lettori da spingerli a venire a Mantova come turisti.

Siamo la città del Festivaletteratura. Vuoi che non ci sia uno scrittore di quelli che affollano la città che abbia voglia di impegnarsi in un’impresa d’altri tempi? Scrivere su commissione una storia per Mantova così come fecero Fruttero e Lucentini per Venezia (l’Amante senza fissa dimora) e per Siena (Il Palio delle contrade morte).

Come dicevo non importa che la storia sia vera, anzi (gli inglesi sono stati costretti a creare il binario 9 e ¾ a King’s Cross, stanchi di dover deludere le richieste dei fan di Harry Potter), ma deve conquistare il lettore e portarlo qui. Come farà ancora una volta il Rigoletto formato TV. Poi avremo tutto il tempo per fargli dimenticare il mito e fargli aprire gli occhi sullo straordinario fascino di Mantova e dei suoi monumenti.

Editoriale pubblicato sulla prima pagina della Voce di Mantova