Bella e stimolante la mostra su Giovanni Boldini attualmente in corso a Forlì presso la tradizionale sede del complesso conventuale di San Domenico.
Bella per le opere esposte tra cui molti capolavori non solo del pittore ferrarese (la mostra è quasi una monografica) ma anche degli altri pittori italiani, sia i macchiaioli sia les italiens di Parigi come De Nittis, Zandomeneghi e Corcos oppure Modigliani. L’unica opera esposta del pittore livornese racconta più di tutto il resto la distanza esistente tra Boldini e gli artisti delle avanguardie.
Stimolante perché presenta anche la parte grafica dell’opera di Boldini, non sempre esposta in altre mostre che si sono limitate alle opere più note di questo pittore famoso per i suoi ritratti e per come ha saputo rappresentare la cosiddetta Belle Epoque.
La mostra è divisa in due parti: al piano terra si compie un percorso di avvicinamento all’uomo e al pittore Boldini con gli autoritratti, i ritratti dei suoi amici e soprattutto due sale dedicate ai disegni e agli acquerelli che rendono giustizia al genio del ferrarese. Al piano superiore invece si ripercorre cronologicamente la maturazione del pittore dalla Firenze dei macchiaioli alla Parigi del mercante Goupil, dalla relazione con Berthe (un’amante da far venire l’acqua alla bocca scriverà agli amici il pittore) alla storia con la contessa Gabrielle de Rasty, per terminare con una galleria di ritratti “alla Boldini” che lasciano incantati per la capacità dell’artista di interpretare in modo sempre diverso lo spirito del tempo visto attraverso queste splendide donne, i loro abiti e le loro nevrosi.
L’inizio è spumeggiante accolti da un confronto tra Degas e Boldini. Il francese, con un certo distacco emotivo, ritrae la Parigi della finanza con uno sguardo ravvicinato e dal taglio fotografico dei banchieri attivi nella sala contrattazioni della Borsa. Il ferrarese invece si immerge nella società del tempo, facendosi un “selfie”, si direbbe oggi, in una delle sale del Moulin Rouge, colori sgargianti, un tourbillon di movimento che avanza per linee diagonali sino al primo piano dove il pittore sorseggia champagne affiancato da una ragazza vestita, o meglio svestita, di tutto punto. Il quadro esce per la prima volta dal Museo d’Orsay dove è stato acquisito grazie ad una donazione dopo essere appartenuto alla famiglia Rothschild.
La conclusione della mostra è invece inedita. Nell’ultima sala si propone l’accostamento dei ritratti di Boldini a quelli di grandi pittori del passato come Goya o Van Dick e soprattutto la possibilità di osservare il ritratto del generale spagnolo del 1867 dove l’artista ferrarese si rifà a Velasquez e il quadro della Dame de Biarritz scelto come icona del manifesto e del catalogo.
Nel mezzo invece c’è tutta la capacità di uomo di marketing del pittore italiano. Boldini arriva a Firenze e si fa introdurre nel mondo cosmopolita che affolla la città toscana, in quel momento capitale temporanea dell’Italia unita, e guadagna la stima di clienti importanti. La stessa strategia il ferrarese utilizzerà a Parigi dove si farà conoscere grazie al mercante Goupil e alla sua capacità di interpretare le esigenze della sua clientela e poi riuscirà a diventare il ritrattista più richiesto dall’alta borghesia , dai nuovi ricchi e dall’aristocrazia anche grazie alle entrature della sua modella, musa e amante, la contessa Gabrielle de Rasty.
Successo conquistato senza aver organizzato nemmeno una mostra personale, consapevole della forza del passaparola e del fatto che se si voleva vedere un quadro di Boldini l’unico modo era essere ammessi al suo atelier oppure poter entrare nelle case e nelle ville di chi all’epoca contava davvero. I suoi quadri diventano pertanto uno status symbol e marcano una differenza forte rispetto ai ritratti fotografici. La fotografia è (quasi) alla portata di tutti: rapida, veloce ma impietosa nei confronti del fotografato. Boldini è per pochi, con lunghi tempi di posa ma unico capace di descrivere le caratteristiche delle persone che ritrae esaltandole ed interpretandone a pieno aspirazioni e desideri, rendendole uniche e inimitabili.
Uomo geniale, uomo di marketing, uomo dalle scelte felici e lungimiranti come quella di sposare Emilia Cardona, giornalista di sessant’anni più giovane. Una moglie, inizialmente osteggiata dai parenti del pittore, che ne scriverà la biografia ed organizzerà la prima mostra monografica di Boldini, pochi mesi dopo la sua morte, continuando a lavorare per la valorizzazione e l’apprezzamento dell’opera complessiva del ferrarese. E’ commovente il ritratto a carboncino di Emilia realizzato dal pittore quando per un problema di vista era l’unico modo di disegnare che gli rimaneva.
Un’ultima notazione: da non perdere la parte relativa ai disegni e alle incisioni dell’artista, veri e propri capolavori in presa diretta che dimostrano come l’apparente naturalezza e improvvisazione dei dipinti, nasca da una approfondita e accurata costruzione a tavolino. Una sorpresa anche la sala dedicata all’opera grafica di Sem, il caricaturista, grande amico di Boldini e forse l’unico a potersi permettere di rappresentarlo così com’era: uno gnomo (nella definizione del critico Diego Martelli che lo chiamava ironicamente Conte Bazza Bastone), con un gran testone da bulldog e assolutamente lontano dagli ideali di bellezza che lui stesso contribuì a creare con i suoi dipinti.
« La sua pittura è un ammasso di lasciarlo e di fatto, di falso e di vero, che bisogna prenderlo com’è. E non ci vuotare il capo a farci sopra delle teorie; né si può dire che quando siete davanti a un suo lavoro, possiate non guardarlo, egli affascina, vi corbella, vi mette il capo sottosopra; sentite che quella faccenda che avete sotto gli occhi è una profanazione della vostra divinità, ma purtuttavia ci trovate gusto, lo gnomo vi inviluppa, vi sbalordisce, vi incanta, le vostre teorie se ne vanno, ed egli ha vinto. » Diego Martelli