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Quando si cammina per la città in cui si vive spesso si pensa ai fatti propri, si sbircia il cellulare oppure si è troppo impegnati a raggiungere il luogo di un appuntamento per meravigliarsi. Per questo non ci si accorge di alcune viste che si aprono sul fondo di vie o vicoli e che sono spesso delle vere sorprese. Nella maggior parte dei casi si profila sul panorama il “cupolone” di S. Andrea ma altre volte sono le torri oppure le facciate di case o palazzi a fare da sfondo. E’ un modo diverso di camminare per Mantova dimenticandosi di averla già vista e di conoscerla. E’ un po’ come fanno i turisti, quelli che a tratti girano senza osservare la guida, ed è una grande opportunità di vedere la città con occhi nuovi. Ecco allora 5 vie o vicoli di percorrere prestando attenzione al contesto e allo sfondo…

Vicolo Pastro – è la vietta che si apre sulla destra della chiesetta della Madonna del Terremoto. Quando si guarda la facciata della piccola chiesa di piazza Canossa a volte non ci si accorge dello sfondo eppure basta alzare gli occhi per vedere il profilo del cupolone di S.Andrea. Il contrasto tra la minuta Madonna del Terremoto e l’imponenza della basilica di Leon Battista Alberti è eclatante. Infatti il cupolone incombe sui palazzi del centro storico e marca ancora di più la sua funzione di punto focale della città e del suo profilo. Tra l’altro percorrere via Pastro verso vicolo della Mainolda è un modo di ripercorrere storie di martiri e di risorgimento (questi i link per approfondire su Luigi Pastro e su Vicolo della Mainolda)

Via Tazzoli – il punto migliore per avere una vista strabiliante è quello all’inizio della salita, dalla parte di piazza Arche. Da qui si vedono le due torri in infilata: sulla destra la torre dello Zuccaro e sullo sfondo la torre della Gabbia. Sembra un allineamento assolutamente non casuale, un po’ come se si trattasse di una geometria astronomica alla StoneHenge, completata dalla torre di S.Alò (S.Egidio) alle nostre spalle. Inoltre la differenza di livello tra l’inizio e la fine della via aggiunge fascino a quella che è una delle salite o delle discese mozzafiato di Mantova, con lo scollinamento in corrispondenza della torre dello Zuccaro.

Via Dottrina Cristiana – E’ una delle poche vie interamente rettilinee del centro storico perché delimita il confine della cosiddetta “isola degli studi” ovvero la casa dei Gesuiti che oggi comprende il Liceo Classico, la Biblioteca Teresiana e l’Archivio di Stato. Inoltre questa via, un tempo chiamata vicolo del Monte di Pietà (collocato nella sede dell’attuale negozio la cui insegna fa rima con pietà), faceva parte del ghetto ebraico. Oggi chi la imbocca da via Pomponazzo e lascia correre lo sguardo verso il fondo arriva fino al retro del Palazzo della Ragione il cui muraglione in mattoni a vista è ingentilito da una delle eleganti trifore romaniche che garantisce luce all’immenso salone del piano nobile.

Via Mazzini – è una via privilegiata per osservare una particolare sequenza di monumenti con sullo sfondo l’onnipresente cupolone della basilica di S.Andrea costruito su progetto dello Juvarra. Questa via è tra l’altro incorniciata da edifici particolarmente alti che la trasformano in un vero e proprio cannocchiale prospettico. Chi imbocca via Mazzini in direzione del centro infatti scorge sullo sfondo le Pescherie di Giulio Romano che sembrano dare base ai palazzi su cui si staglia la cupola della Basilica di S.Andrea. E’ una vista particolarmente interessante e diventa sfolgorante quando uno di quegli azzurrissimi (e purtroppo sempre più rari) cieli di Lombardia ne costituisce la cornice.

Via Goito – una traversa non particolarmente interessante del centro storico ma anche qui la sorpresa sta alla fine. Infatti a chi si affaccia all’inizio della via, tenendo alle sue spalle la Camera di Commercio, appare sullo sfondo la casa detta del cappellaio, con la sua facciata affrescata, si dice, dalla scuola di Mantegna. Mano a mano che ci si avvicina le storie che decorano il palazzo diventano più visibili e la meraviglia aumenta, anche con una sorta di malinconia per non aver potuto vederla quando gli affreschi erano stati appena realizzati. Il consiglio è di percorrerla più volte per trovare il momento giusto, ovvero quando il sole colpisce quella parte di affresco dove è rimasto l’azzurro di un cielo lombardo. Allora la facciata si accende e si scopre che la città dalle facciate a tinta caffelatte in realtà un tempo era un insieme sfolgorante (e arlecchinesco) di storie e di colori.

Giacomo Cecchin

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