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Sant’Antonio abate è un santo molto importante nella nostra pianura contadina tanto che ancora oggi ci tengono le celebrazioni in chiesa alla presenza degli agricoltori, si benedicono le stalle dove spesso viene appesa un’immagine di Antonio con saio, bastone e campanella circondato dagli animali domestici.
Un proverbio molto noto a Mantova dice:
“Sant’Antoni gugioler
che al derset al vin de zner”
Ma perché Antonio abate, un eremita di origine egiziana, diventa protettore degli animali. Da dove viene il bastone a forma di TAU? Sono domande interessanti soprattutto e anche per Mantova visto che proprio nella nostra città esisteva un ospedale degli Antoniani che si trovava insieme alla chiesa e al convento dove oggi ha sede la Biblioteca Baratta. E’ davvero stimolante questa sorta di palinsesto urbano che vede succedersi in sequenza:
1. Un convento/ospedale dove si allevano maiali
2. Un macello comunale dove si uccidono i maiali (è l’edificio esistente ancora oggi e adibito a biblioteca)
3. Una biblioteca dove si prestano libri (che assomigliano ai maiali, visto che dei libri non si butta nulla…)
Ecco come lo storico Paolo Golinelli spiega l’origine del culto di Sant’Antonio e di come sia diventato protettore degli animali (per una casualità assoluta, lui che fu assalito dalle tentazioni, rappresentate in forma di animali):
“Il culto popolare di sant’Antonio abate
Sant’Antonio abate è, per ciò che concerne il mondo contadino, l’esempio più significativo. Di lui si sa che nacque intorno al 250 a Coma (oggi Qeman) sulla riva occidentale del Nilo, nel medio Egitto; che si dedicò all’ascesi eremitica nel deserto; che difese i cristiani perseguitati da Massimino Daia nel311; che combatté gli Ariani ad Alessandria nel 335; che tornò all’eremo dove morì, sembra, vent’anni dopo. Niente di specifico lo lega al mondo rurale, e nemmeno la Vita che di lui scrisse sant’Atanasio poco tempo dopo la sua morte offre elementi concreti per farlo protettore degli animali.
Gli animali ci sono, sì, ma sono soprattutto bestie feroci nelle quali si incarnano le tentazioni diaboliche, che turbano le notti dell’eremita: leoni, orsi, leopardi, serpenti, tori, aspidi, scorpioni e lupi.
Come nasce allora la devozione popolare verso di lui? E la storia a darcene la risposta. Nel 1095 viene fondata a Vienne la congregazione degli ospitalieri di Sant’Antonio, poi trasformata in Ordine con la regola di sant’Agostino da Bonifacio VIII, con lo scopo specifico di curare imalati di erpes zoster (comunemente detto «fuoco sacro» o «fuoco di sant’Antonio»), di cui si era avuta in Francia una tremenda epidemia, per l’uso di farina infetta di segala cornuta.
L’intitolazione a sant’Antonio veniva dalla traslazione di reliquie del santo dall’Oriente, alla fine dell’XI secolo, a Bourg St.-Antoine, nei dintorni di Vienne. Questa congregazione fondò ospedali un po’ in tutta l’Europa, e anche nell’Italia padana: nel Torinese (Raverso, 1170), a Milano, Mantova, Bergamo, Brescia, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Fidenza, Parma e Piacenza.
Una delle principali fonti di sostentamento di questi ospedali era l’allevamento dei maiali, che grazie a privilegi cittadini potevano pascolare liberi intorno ad essi e, in deroga a molti statuti comunali, all’interno stesso delle città. Da ciò l’iconografia del maialino accanto al santo, il fuoco, simbolo dell’ergotismo – e, forse, dei falò che si usava accendere la notte precedente la festa del santo (falò invernali che richiamano pratiche rituali ancestrali) -, e la Tau, particolare forma della croce, che era quasi lo stemma della congregazione antoniana, portato cucito sui mantelli e scolpito sulle porte degli ospedali di sant’Antonio.
Queste sono le caratteristiche con le quali sant’Antonio è stato visto dal mondo contadino, che proprio in base ad esse lo ha eletto a protettore degli animali domestici, aggiungendo al maiale i bovini e i gallinacei che sono presenti nelle immagini popolari più vicine a noi, quelle che si usava e si usa ancora mettere nelle stalle a protezione degli animali, e dinnanzi alle quali si accendono lumi nella notte precedente la festa del santo, il 17 gennaio, quando la leggenda vuole che gli animali parlino tra loro.
Il santo eremita, modello di vita ascetica per il monachesimo delle origini e del Medioevo, diventa, attraverso la congregazione ospedaliera, un santo popolare, che guarisce dal «fuoco di sant’Antonio», anche grazie al grasso dei maiali con i quali gli ospedali si mantengono: sono i «maiali di sant’Antonio», e questo basta al popolo per renderlo protettore di questo animale e di tutti gli altri animali che il contadino allevava intorno a casa. Se si aggiunge poi che la sua festa cade in un periodo, la metà di gennaio, nel quale per ragioni climatiche si è soliti uccidere il maiale, con le carni del quale si sfamerà la famiglia contadina per il resto dell’inverno e oltre, la corrispondenza non poteva essere più completa. E la Chiesa stessa la fa propria con la pratica della benedizione delle stalle, alla quale il contadino rispondeva con l’offerta al sacerdote proprio degli insaccati, frutto della recente macellazione.”
tratto da SANTI E CULTI DELL’ANNO MILLE – storie e leggende tra cultura dotta e religiosità popolare, Paolo Golinelli, Ugo Mursia, pag. 175-177.
Per approfondire su Sant’Antonio potete leggere:
– su questo blog: Sant’Antonio in cattedrale oppure 5 santi da festeggiare a Mantova tra porcellini, mantelli e martirii
– sul web Il luogo in Francia che conserva il corpo di Sant’Antonio abate e il martirologio cattolico dal sito del Monastero di Bose
Una tipica immagine di Antonio abate da appendere nella stalla.