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Carabinieri, Caravaggio, COMANDO CARABINIERI PER LA TUTELA DEL PATRIMONIO CULTURALE, Il Caravaggio rubato, Leonardo Sciascia, Luca Scarlini, Michelangelo Merisi, Nativita', Oratorio di San Francesco, Palermo, Sabbioneta, Una storia senza nome
La Natività è una delle immagini più rappresentate dagli artisti di ogni secolo. Mantovastoria sceglie di augurare un buon Natale ai suoi lettori con un’opera di Caravaggio che purtroppo fu rubata nel 1969 e non è ancora stata recuperata. La tela si trovava a Palermo e fu realizzata da Michelangelo Merisi per l’Oratorio della Confraternita di San Francesco nella chiesa di San Lorenzo. Questa Compagnia di laici si dedicava alla sepoltura dei morti poveri e di quelli ammazzati.
Il furto avvenne nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969 ad opera della Mafia e da allora se ne sono perse le tracce. E’ una Natività che ha tutti gli elementi tipici del racconto evangelico, compresi l’asino e il bue non presenti nella narrazione canonica ma entrati a far parte del presepe in tempi molto antichi grazie all’inserimento in un vangelo apocrifo. Non manca anche un angelo tipicamente caravaggesco con la sua posizione da acrobata celeste e una fisicità prorompente.
Alla scena partecipano anche San Lorenzo (titolare della chiesa) e San Francesco (patrono della Compagnia titolare dell’oratorio) oltre a un altro frate/monaco da alcuni studiosi identificato in frate Leone, uno dei primi compagni del santo di Assisi*.
Ho voluto pubblicare quest’opera nel post di Natale non solo perché Caravaggio è uno dei miei pittori d’elezione ma anche per ricordare una tela di cui si aspetta da tempo il ritrovamento o la restituzione.
Il furto del Caravaggio è una vicenda molto nota e per chi volesse approfondire segnalo il bel libro di Luca Scarlini “Il Caravaggio rubato”, Mito e cronaca di un furto (Sellerio editore) che racconta le vicende di questo giallo (l’anno prossimo saranno 50 anni).
Ecco l’incipit del libro con i nudi dati dell’opera e la descrizione del bambino:
“Olio su tela, cm 298 per cm 197, dipinto nel 1609, conservato da allora nel luogo religioso, senza interruzione fino al 16 ottobre 1969, ultimo restauro conosciuto: 1952, Istituto Nazionale del Restauro, Roma.
Il bambino è al centro della rappresentazione, certo, ma è anche schiacciato al suolo: “abbandonato a terra come un guscio di tellina buttato”. Sotto di sé ha poca paglia, sembra strappata a forza da altro giaciglio, forse a quello degli animali: lo veglia la Madonna. Persa nei suoi pensieri, eppure attentissima ad ogni movimento della creatura. Dal suo aspetto e dalla sua posizione Maria dichiara di essere umile di fronte al miracolo: sta, letteralmente, per terra, accovacciata, schiacciata dal peso della rivelazione che portava dentro di sé e che infine è giunta agli occhi del mondo. Tutti i partecipanti hanno il capo chino: la loro presenza è quella della sottomissione assoluta di fronte al Salvatore. Le figure incarnano i tre precetti francescani: obbedienza, castità, povertà.”
Un’ultima curiosità prima di alcuni link per approfondire: in un testo di Leonardo Sciascia pubblicato su l’Ora lo scrittore siciliano lancia la provocazione di vendere le opere d’arte italiane per salvarle dall’incuria di un Paese che non le sa conservare e da ultimo cita anche la nostra Sabbioneta. Ecco l’ultima parte del testo:
“L’Italia è il paese dell’arte: ma le opere d’arte vadano in malora. Ancora una volta dobbiamo amaramente constatare che questo non è un paese civile. Non lo è nelle baracche dei terremotati e degli immigrati, a Montevago come nella periferia torinese; e non lo è nella conservazione delle opere d’arte e delle testimonianze storiche. Sembra che non ci sia relazione tra un Caravaggio facilmente rubato a Palermo e una famiglia costretta a vivere in sei metri quadrati di baracca: e invece c’è, precisa, assoluta. Se il baraccato costituisse preoccupazione. Uguale preoccupazione costituirebbe il Caravaggio di San Lorenzo, la Zisa, Sabbioneta e il disegno di Leonardo. C’è una interdipendenza, un legame d’ordine: del solo e vero ordine che un paese civile deve tenere”.
*A mio modesto parere con il bastone e il cappellaccio potrebbe sembrare un San Giacomo Maggiore, anche se non c’è la conchiglia.
Link per approfondire
– Il Caravaggio rubato di Luca Scarlini (Sellerio Editore Palermo)
– La banca dati consultabile dei capolavori rubati dal sito dell’Arma dei Carabinieri. Il nucleo fu creato il 3 maggio del 1969, solo 6 mesi prima del furto del Caravaggio che infatti è inserito al numero 799, nel bollettino n.1. Qui il sito ufficiale del Comando di tutela dei beni culturali.
– Operazione Caravaggio di Sky Arte: la Natività in alta definizione restituita a Palermo
– La pagina dedicata ai capolavori rubati sul sito della Regione Sicilia
– L’Oratorio di San Francesco a Palermo (wikipedia)
– Una storia senza nome, il film del 2018 dedicato al furto del Caravaggio (qui potete vedere il trailer)
– il post di Natale 2017 su Mantovastoria dedicato a Tintoretto
«La Natività di Caravaggio è in Sicilia»
(articolo pubblicato su La Lettura – domenica 6 gennaio 2019) di Roberta Scorranese
«Io ho bravi informatori sparsi in tutto il mondo. E quelli italiani mi dicono che la Natività di Caravaggio, sparita da Palermo nel 1969, si trova in Sicilia ed è perfettamente integra». Una cosa è certa: Arthur Brand ha davvero bravi informatori, cioè una rete internazionale di contatti che gli ha permesso di diventare uno dei detective dell’arte più noti e affidabili. Perciò le parole che l’investigatore olandese ha deciso di affidare a «la Lettura» a cinquant’anni dal furto più clamoroso della storia dell’arte del Novecento vanno lette attraverso una molteplicità di significati.
Brand parla dai suoi uffici di Amsterdam, città dove vive e lavora. Ha appena concluso un ritrovamento al quale teneva molto, un mosaico di epoca bizantina che era stato trafugato da un luogo di culto di Cipro dopo l’invasione turca del 1974. «Un lavoro che mi ha impegnato per tre anni — racconta — e sa che cosa ho fatto nella maggior parte del tempo? Ho aspettato. Il mio lavoro non è per persone poco pazienti». Protagonista di numerosi ritrovamenti (dai cavalli di bronzo spariti dal palazzo della Cancelleria di Hitler durante la Seconda guerra mondiale a diverse tele di Salvador Dalí e di Tamara de Lempicka), Brand ha collaudato un metodo: lui interviene a freddo, cioè uno o due anni dopo la scomparsa di un’opera d’arte, «quando le indagini della polizia diventano, per forza di cose, più rarefatte, perché loro hanno altro a cui pensare», puntualizza.
Quindi il detective si cala in un sottobosco fatto di trafficanti, piccoli e grandi, di mercanti più o meno equivoci, di mediatori che poi si dissolvono. Fa domande, compone piste e semina le sue «esche». Quindi si siede e aspetta. «Prima o poi — dice — qualcuno si farà vivo. Perché ci sarà sempre un personaggio implicato nella vicenda che ha interesse affinché un’opera d’arte torni a casa. Faccio qualche esempio: potrebbe esserci un mercante concorrente al quale è stato “soffiato” un affare e chiede vendetta. Se invece dall’altra parte c’è un falsario noto nell’ambiente, si può usare il grimaldello della giustizia. Il gioco sta nell’avvicinare i rivali del ricercato e l’abilità di quelli come me risiede nell’individuare il prima possibile queste persone, diciamo, “interessate”».
Però nel caso palermitano ogni dubbio è lecito: la scomparsa della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi(la grande tela dipinta da Caravaggio per l’Oratorio di San Lorenzo nei primi del Seicento, durante il soggiorno siciliano), avvenuta nell’ottobre del 1969, è una storia nera dalla struttura simile a un romanzo di Sciascia. Mezze verità, bugie, depistaggi, «soffiate»: le ombre si sono stratificate sulle ricerche e ormai si confondono con le dichiarazioni di almeno sei pentiti di mafia, sconfinando nella fiction. Tanto è vero che la vicenda ha ispirato romanzi e film: l’ultima opera cinematografica, dal titolo Una storia senza nome, è uscita nelle sale in autunno con la regia di Roberto Andò.
Eppure Brand si dice convinto che un nome questa storia ce l’abbia. «Ho seguito gli aspetti più controversi della sparizione del Caravaggio — dice — e conosco le varie versioni: da quella che lo vorrebbe rosicato dai topi a quella, forse la più diffusa, che lo vuole fatto a pezzi da un mercante svizzero al quale era stato venduto dalla mafia e venduto così, a frammenti, a qualche mese dalla sparizione. Ma io ho parlato con alcune persone delle quali mi fido: mi hanno assicurato che il dipinto, del tutto integro, non ha mai lasciato la Sicilia». Per la verità questa è una versione fornita anche da un collaboratore di giustizia, Franco Di Carlo, il quale nell’estate scorsa sostenne di aver visto la Natività nel 1981 — anni dopo il furto — nella casa di un boss di Partanna Mondello, sobborgo di Palermo.
Ma chi possiede adesso il Caravaggio? «La mia tesi, che poi è quella dei miei informatori italiani — sostiene il detective olandese —, è che la tela adesso non sia più in mano alla mafia. Apparterrebbe a una famiglia che teme di farsi avanti perché quella tela indubbiamente “scotta”. È una delle situazioni più frequenti in questi casi: inizialmente l’opera sparisce per mano della criminalità ma poi, dopo tanti anni, finisce nelle case di persone distanti da quei mondi, o almeno non implicate direttamente con la malavita. Qualche volta il proprietario ha acquistato il bene in perfetta buona fede. E sa che cosa accade spesso? Che decida di liberarsene per non avere problemi. È così che i Picasso e i Matisse finiscono bruciati, nello stupore di tutti». Brand dichiara che quest’anno, a coronamento di una carriera di successo, si trasferirà temporaneamente in Sicilia per cercare quello che è il Sacro Graal per chiunque faccia il suo lavoro. E, tramite «la Lettura», diffonde un appello: «Oggi l’interesse di tutti è che quel dipinto torni a casa. Per questo mi rivolgo a chi lo possiede in questo momento e lo invito a farsi avanti, anche contattando me, se preferisce, in modo che io poi possa fare da tramite con le forze dell’ordine e trovare soluzioni affinché gli innocenti non ci rimettano e non si sentano posti sotto accusa».
Brand sottolinea più volte che le sue intenzioni non sono e non sono mai state quelle di sostituirsi ai Carabinieri, specie al Nucleo per la Tutela del Patrimonio culturale (che elogia con parole come «la migliore forza al mondo in questo settore»), bensì si propone come intermediario, come un «ponte» tra un eventuale proprietario del dipinto e la giustizia.
Poi, a proposito di Graal, Brand rivela l’altro grande oggetto del desiderio di tutti quelli che fanno il suo lavoro, cioè il Cristo nella tempesta sul mare di Galilea, l’unico paesaggio marino dipinto da Rembrandt nel 1633 e rubato dall’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston nel 1990. Anche questo è un enigma che ha alimentato suggestioni cinematografiche, musicali e televisive. Il detective olandese ci lavora da tempo ed è giunto a una conclusione: «Sono convinto che si trovi nelle mani dell’Ira, l’Irish Republican Army. Eppure, il Caravaggio resta il principale obiettivo. In un paese come l’Italia la sparizione di un dipinto è una ferita che brucia anche in chi italiano non è».