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Un tempo a Natale si andava al cinema e a Mantova si poteva scegliere tra ben 8 cinema in centro. Ve li ricordate? Eccoli come li metteva in ordine La Gazzetta di Mantova nella pagina dedicata agli spettacoli: Andreani, Apollo, Bios, Corso, Sociale, il cinema degli Angeli (che sarà il Ciak Blu, di fianco alla chiesa) e il Mignon.

Il confronto con oggi è impietoso: rimangono in centro solo l’Ariston con tre sale, il Mignon e l’Oberdan (che qui non è citato). Il cinema è uno dei miei luoghi del cuore e quindi sono stato molto contento di scrivere un articolo per Gazzetta di Mantova dove parlo di alcuni dei film girati a Mantova e dei cinema del centro.

Qui di seguito trovate il testo integrale dell’articolo mentre se volete leggere gli altri della serie li trovate a questi link (A Mantova con il TCI nel 1915 e Feste religiose a Natale e i santi del calendario) .

Ecco la pagina dei cinema della Gazzetta di Mantova di martedì 27 dicembre 1983.
MANTOVA AL CINE – LA CINECITTA’ SULLE RIVE DEL MINCIO

Sapete quanti film sono stati girati a Mantova? Dal sito della Mantova Film Commission ricaviamo in numero di 61 film: il primo nel 1948 Il Mulino del Po di Alberto Lattuada, l’ultimo nel 2019 Il Capitano dei ghiacci, un docufilm. Nel 2020 doveva aggiungersi anche Leonardo, le fui riprese sono state annullate causa covid.

Con numeri come questi possiamo davvero definire Mantova coma una Cinecittà sulle rive del Mincio. In realtà non ci sono veri e propri teatri di posa ma la città stessa offre una scenografia spettacolare soprattutto per i film storici in costume. Una curiosità da evidenziare è che spesso Mantova è utilizzata al posto di altre location e solo in alcuni casi la storia è ambientata a Mantova. Ricordiamo ad esempio La Marcia su Roma dove all’inizio Mantova è Milano, oppure i Medici televisivi dove Mantova è Firenze o l’ultimo Romeo & Juliet dove Mantova è addirittura Verona.

Proveremo a ripercorrere la storia di alcuni film girati a Mantova in una sorta di itinerario nei luoghi cinematografici della città con una sorpresa finale: eleggeremo la piazza più filmata di Mantova.
Partiamo da La Marcia su Roma di Dino Risi, un film girato quasi interamente a Mantova nel 1962 con alcune scene girate negli studi di Roma o in esterni nei dintorni della Capitale.

I due attori protagonisti sono dei mattatori del grande schermo come Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi  che interpretano due reduci della Grande Guerra sullo sfondo della nascita del Partito Fascista. Il romano Domenico Rocchetti (Gassman) vive di espedienti a Milano chiedendo la carità in giro per le strade, millantando di essere commilitone delle persone che incontra. Il cremonese Umberto Gavazza (Tognazzi) invece lavora come bergamino nella fattoria del cognato che lo tratta come un servo. Rocchetti e Gavazza erano insieme sotto le armi e si incontrano in modo rocambolesco nella stalla dove lavora Tognazzi.

Ma torniamo alle scene del film girate a Mantova. Dopo i titoli di testa vediamo Vittorio Gassman vestito in giacca, farfallino e cappello che attraversa via Giulio Romano, vicino all’angolo con via Guerrieri Gonzaga. Si riconosce perfettamente una delle vetrine di quello che oggi è un bar. L’attore gira poi in via Guerrieri Gonzaga dove la vetrina dell’attuale pizza al taglio è chiusa da assi di legno coperte di scritte (ancora oggi ci sono scritte sui muri, corsi e ricorsi storici). Qui Rocchetti Gassman si incontra con un suo antico comandante che lo redarguisce per come sta vivendo, lo schiaffeggia ma poi lo inviata a mangiare fuori perché gli vuole parlare di una nuova avventura.

Siamo nel 1919 a Milano e stanno parlando della nascita dei Fasci da combattimento. Via Guerrieri Gonzaga è perfettamente riconoscibile e se si guarda bene sul fondo si vede la facciata della chiesa di Sant’Egidio. La storia prosegue con delle scene girate in una finta campagna cremonese (le location erano nei dintorni di Roma) dove si incontrano Gassman e Tognazzi.

Torniamo poi a Mantova in via Poma, inconfondibile per le sue piante, dove i due protagonisti spazzano le foglie. La cinepresa è posta probabilmente all’angolo del marciapiede davanti al bar e poi segue i due mentre si spostano sulla destra della via guardando verso l’attuale tribunale. Dal fondo arrivano i carabinieri a cavallo e si vede chiaramente la cupola della chiesa di San Barnaba. E’ incredibile come i luoghi di Mantova siano ancora perfettamente riconoscibili oggi. Basta guardare il film per capire in quale androne si rifugiano i due protagonisti per sfuggire alla carica, con Gassman che colpisce con una scopa un carabiniere.

Per questo episodio i due finiscono in prigione e, dopo essere liberati, finiscono a Mantova insieme agli squadristi in marcia verso Roma. Alcune scene sono girate nel sagrato della chiesa abbaziale di San Benedetto Po dove i fascisti prendono di mira una tipografia operaia e danno alle fiamme libri, manifesti e quadri con la faccia di Marx. La facciata della chiesa monastica è inconfondibile. Non sono riuscito a recuperare l’informazione su quanti giorni la troupe passò a Mantova ma deve essere stato particolarmente insolito per una città così piccola. C’è una foto splendida dove in via Giulio Romano Gassman sta leggendo il copione, seduto sulla classica sedia da set, con accanto il regista Dino Risi. Sono circondati dai mantovani, bambini, ragazzi e adulti che sembrano incerti tra la curiosità e la voglia di chiedere un autografo e il timore reverenziale che gli impedisce di farsi avanti.

La prossima location mantovana del film è piazza Sordello dove si svolge un raduno dei fascisti. Si riconoscono il Duomo e il Palazzo Ducale oltre a Palazzo Castiglioni con il suo balcone. Da qui la scena si sposta in via Massari. Un manipolo di avanguardisti esce da via Govi e si dirige verso via XX settembre, con alcuni antifascisti prigionieri che vengono messi alla berlina. Qui incrociano Gassman e Tognazzi che vestiti con fez e camicia nera cercano la casa dove abita il giudice che li aveva condannati. E’ uno dei palazzi storici di via Massari e si riconosce ancora per il portone sormontato dal balcone. I due protagonisti entrano e fanno bere un bicchiere di olio di ricino al giudice che lo sorseggia come se si trattasse di un vino pregiato e poi li manda a …….. insieme a Benito Mussolini. Provate ad andare in via Massari percorrendola verso via Corridoni. Tra via Fratelli Bronzetti e via Govi sulla sinistra riconoscete subito il palazzo del giudice: basta guardare in alto per vedere i merli ciechi, su cui rimangono tracce di affreschi. L’interno dell’appartamento del giudice è invece girato in studio.

Dopo la famosa scena dell’olio di ricino la storia ci fa vedere Gassman e Tognazzi a cena in un’osteria dove pagano con foto del Duce e di Italo Balbo. Escono ubriachi e si ritrovano ancora per le vie di Mantova. L’interno del ristorante è girato probabilmente in studio mentre gli esterni sono girati in Corte dei Sogliari. I due attori ondeggiano ubriachi nel vicolo e sbucano sotto i portici di corso Umberto di fianco alla farmacia. Attraversano la via e camminano sotto i portici in direzione di via Battisti e del Teatro Sociale. Li troviamo dopo addormentati in piazza Sordello. Si svegliano tra la paglia e scoprono di essere rimasti soli. Gassman va verso il centro della piazza e saluta quelli che pensa camerati come lui e invece sono antifascisti che cominciano a picchiarlo. Tognazzi sente le urla del compagno e invece di andare ad aiutarlo, si rimette gli stivali e scappa passando per vicolo Bonacolsi. Una curiosità: in piazza Sordello non ci sono i lampioni laterali ma ci sono invece delle luci che sono attaccate a dei cavi che sono tesi dall’uno all’altro lato della piazza. Il film prosegue poi accompagnando i protagonisti verso Roma. Se non l’avete visto non perdetevelo perché è davvero divertente e anche istruttivo visto che racconta in modo satirico ma corretto la nascita del partito fascista e la marcia su Roma. Che estate quella che visse Mantova nel 1962 quando per alcuni giorni si ritrovò ad essere un vero e proprio set cinematografico.

Uno dei modi più divertenti per scoprire le magie del mondo del cinema è quello di fare la comparsa. Una delle produzioni che ne assoldò di più fu quella dello sceneggiato I Promessi Sposi che fu girato tra le altre location anche a Mantova nel marzo del 1989. Anch’io feci la comparsa per una settimana ma a Sabbioneta insieme ad alcuni amici. L’esperienza più spassosa fu il casting: ci misero in fila davanti al Palazzo Ducale di Sabbioneta per mandarci alla prova costumi.

Pensavamo di dover recitare qualche battuta e invece davano solo un’occhiata all’altezza e al fisico. Quelli alti e slanciati facevano i nobili, quelli grassocci e stempiati i preti e quelli non troppo alti i popolani. Io ero un perfetto popolano e partecipai all’assalto ai forni in piazza San Rocco, alla scena del Dalli all’untore nella chiesa dell’Incoronata (dove il sacerdote era don Ennio Asinari, il vero parroco di Sabbioneta) e a quella del lazzaretto come appestato. Una curiosità: era un marzo particolarmente freddo e per farci sudare come i veri malati di peste ci spruzzavano addosso della vaselina, mentre noi invece di tremare per la febbre lo facevamo per il gelo. Il set più interessante fu però quello di Mantova: qui girarono scene in Palazzo Ducale, negli interni e nelle piazze. Una delle scene più famose è quella dove si vede Bruno Gambarotta nei panni del vicario di provvisione nell’Appartamento dei Nani. Si riconoscono perfettamente le scalette con i piccoli gradini e le stanze di dimensioni ridotte.

La vera sorpresa per i mantovani era però quella di andare a fare una passeggiata serale in piazza Castello. Qui era stato ricostruito un intero quartiere della Milano del 1600. Era un po’ come girare in uno di quei set da film western dove le facciate sembrano vere ma quando si apre una porta si entra nel vuoto e se si gira l’angolo si vede che sono solo delle quinte teatrali addossate a impalcature che consentono di salire ai piani superiori. La maggior parte delle riprese fu girata in notturna con fiaccole e urla. Se si guardano oggi le scene si fatica a pensare che Milano fu ricostruita in piazza Castello ma in realtà fu proprio così. Il cast era internazionale con grandi attori come Burt Lancaster, Murray Abraham e Alberto Sordi (un Don Abbondio con accento romano ma tanto c’era il doppiaggio internazionale) e altri meno noti come i due protagonisti: Danny Quinn (uno dei tanti figli di Anthony, che fu anche presentatore a San Remo) nella parte di Renzo e Delphine Forest in quella di Lucia.

Passiamo ora ad un film che forse molti hanno dimenticato ma che fu un successo al botteghino e fu girato interamente a Mantova che, come ne La Marcia su Roma, è davvero Mantova. Siamo nel 1991, il regista è Daniele Lucchetti e i protagonisti Nanni Moretti, nella parte del ministro Botero (un politico corrotto) e Silvio Orlando, il suo gosthwriter. All’inizio c’è una bellissima scena che fa vedere l’arrivo a Mantova in elicottero e la silhouette della città circondata dai laghi è davvero fantastica. Sono moltissime le scene girate nelle vie cittadine. Per la prima volta la storia è contemporanea, ambientata nella Mantova di quegli anni. Non c’è bisogno di costumi o di togliere antenne e illuminazioni e nemmeno di togliere le auto dal centro.

Si gira a Palazzo Te e nelle vie del centro con la famosa scena del corteo di auto in piazza Marconi che viene fermato dall’apparizione di un contestatore di Botero. Le riprese del funerale sono girate nella chiesa di San Leonardo di cui si riconoscono gli interni e la facciata con il carro funebre sul sagrato. Ci sono anche la stazione e la Basilica di Sant’Andrea. Due ultime curiosità: c’è una scena girata all’interno della chiesa della Santa Trinità che è sede dell’Archivio di Stato. Silvio Orlando entra in chiesa e dall’alto vengono lanciate le schede elettorali truccate in una pioggia di documenti molto scenografica. Oggi questa ripresa non si potrebbe fare visto che all’interno della chiesa è stata costruito uno spazio che chiude e nasconde tutte le scaffalature con funzione antincendio. La seconda è che la scena finale è girata interamente in Piazza Canossa. Silvio Orlando è all’interno del bar che c’era in fondo alla piazza. Esce dal locale e si avvicina all’auto parcheggiata tra l’edicola liberty (che non si vede mai perché probabilmente qui era posta la cinepresa) e la chiesetta della Madonna del Terremoto. Silvio Orlando in un impeto di rabbia distrugge la BMW spider che gli aveva regalato Botero. Alla scena assiste anche Angela Finocchiaro, seduta sui gradini della chiesetta. Parleremo ancora di questa piazza che, non sappiamo perché, è il luogo più cinematografico di Mantova.

Chiudiamo questo viaggio alla scoperta della Cinecittà sulle rive del Mincio con il film di Ermanno Olmi, Il Mestiere delle Armi, girato a Mantova nel 2001. La storia è quella di Giovanni delle Bande Nere che viene ferito a San Nicolò Po da un colpo di archibugio e muore nella capitale dei Gonzaga nel 1526. Molti degli esterni sono girati in Bulgaria ma di Mantova si vedono molte location nel centro e anche il ponte di barche di Torre d’Oglio con il passaggio dei Lanzichenecchi. Anche se le scene degli ingressi a Mantova furono girate al Castello di Soncino, in provincia di Cremona, molte delle riprese sono state realizzate nella nostra città. La parte da Leone la fa Palazzo ducale dove troviamo gli appartamenti di Federico II Gonzaga ed è assolutamente riconoscibile il Cortile della Cavallerizza che ospita un torneo. C’è anche piazza Sordello e la Basilica di Sant’Andrea dove si svolge il funerale di Giovanni dalle Bande Nere.

Una curiosità: nonostante la cura messa da Ermanno Olmi nella ricostruzione storica del film gli anacronismi sono evidenti. Il Cortile della Cavallerizza viene realizzato nella seconda metà del 1500 e quindi dopo gli avvenimenti del film, la Basilica di Sant’Andrea era in costruzione ed era arrivata fino al transetto, mentre in Piazza Sordello si vede la facciata settecentesca del Duomo. Alcune delle scene più famose sono girate nella Casa della Beata Osanna Andreasi. Nel film è l’abitazione dell’amante del condottiero e si riconosce chiaramente la scala che conduce al piano nobile e la sala affrescata dell’ultimo piano con il famoso schiaffone del marito alla moglie.

Vorrei chiudere questo racconto di alcuni dei film che hanno trasformato Mantova in un set cinematografico con un focus su Piazza Canossa. Qui sono stati girati ben otto film! Il primo è l’Extraconiugale, un film ad episodi girato nel 1964. Nella scena iniziale una motoretta inseguita da un auto gira l’angolo da via Cavour e si infila in vicolo Albergo. L’inseguimento finisce in piazza Canossa dove si vedono i banchi di frutta e verdura (che vi si trovano ancora oggi) e l’edicola liberty, il bene FAI più piccolo al mondo.

Una scena simile si trova anche ne Il Diavolo nel cervello del 1972, regia di Sergio Sollima che gira lo stesso anno la miniserie televisiva Sandokan con Kabir Bedi nel ruolo della Tigre della Malesia. Anche qui un auto passa per la piazza uscendo da vicolo Albergo, sfiora l’edicola e gira per via Verdi. La camera segue il percorso dell’automobile che gira praticamente per le vie del centro sfrecciando avanti indietro per fermarsi poi in piazza Sordello. Il film non è un capolavoro ma le musiche sono di Ennio Morricone. Se proseguiamo in un’ideale percorso attorno alla piazzetta arriviamo all’ingresso di Palazzo Canossa con le colonne e i due cani da guardia.

Qui girano delle scene de La Certosa di Parma di Bolognini (siamo nel 1982) ma soprattutto da questo portone esce Jerry Calà, protagonista del film Domani mi sposo (1984). L’attore esce con dei vestiti in spalla e sale su un furgone, parcheggiato davanti al bar, dove lo aspetta un cagnolino. Proseguiamo verso l’edicola liberty. Qui a fianco sfilano Gerard Depardieu e Robert De Niro mentre si dirigono verso il casino, dove sarà girata una scena che fece scalpore al cinema. Alcuni dicono che in realtà la scena non fu girata con gli attori principali ma con delle comparse. L’edicola si vede anche ne Il Corpo della Ragassa (1979), film tratto da un romanzo di Gianni Brera, con protagonista Enrico Maria Salerno. La scena girata in piazza Canossa vede la presenza di un elemento scenografico posticcio: è un vespasiano che troviamo proprio di fronte a dove oggi sono collocati i tavolini del forno/bar che fa angolo con via Verdi. Da ultimo non possiamo non ricordare Il Portaborse, già citato, la cui ultima scena è girata interamente in questa piazzetta. La scelta di Piazza Canossa per tutti questi set è dovuto al fatto che è bella (a volte se provate a immaginare un ingresso liberty della metropolitana vi sembrerà di essere a Parigi), raccolta e con elementi scenografici come le facciate, l’edicola, la chiesetta e la fontana.

Mantova è davvero una cinecittà sulle rive del Mincio e se volete maggiori informazioni sui film girati in città potete far riferimento al sito della Film Commission (https://www.mantovafilmcommission.it/) che ne riporta l’elenco completo.

IL CINEMA AL CENTRO

Cosa ne dite di un viaggio nel tempo quando a Mantova i cinema erano tutti in centro e se si voleva uscire la sera c’era l’imbarazzo della scelta? Io ho provato a immaginare di tornare al 1983 e precisamente a domenica 23 ottobre. Un mantovano “tipo” sarebbe andato a fare colazione al Bar Sociale e avrebbe sfogliato la Gazzetta di Mantova per decidere che film andare a vedere quella sera. Proviamo a metterci dietro le sue spalle. In prima pagina si parla di una manifestazione anti-nucleare a Roma e di Ronald Reagan. Ma poi arriviamo a pagina 22 dove troviamo la rubrica dedicata proprio ai film in programmazione. Ebbene, forse non ci crederete, ma se provate a contarli i cinema sono ben 8. Eccoli in ordine di apparizione, in rigoroso ordine alfabetico, nella colonna del giornale: Andreani, Apollo, Bios, Corso, Sociale e da ultimo gli Angeli (che sarà il Ciak Blu, di fianco alla chiesa) e il Mignon (che forse è l’ultimo perché è un cinema d’essai. Manca solo l’Oberdan che tra l’altro è uno dei pochi aperti oggi in centro grazie all’attività del Cinema del Carbone.

I cinema sono uno dei luoghi che preferisco e devo dire che, non so per voi, ma per me sono strettamente legati al ricordo dei film che ci ho visto e delle emozioni che mi hanno dato. Proviamo a vedere cosa programmavano le sale cinematografiche di Mantova in quella domenica 23 ottobre del 1983.

Al cinema Andreani, in corso Vittorio Emanuele 73, proiettavano I Banditi del tempo di Terry Gilliam che vedeva tra i protagonisti Sean Connery. Gli spettacoli erano 4 nei giorni feriali e 5 nei festivi e il biglietto costava 4.000 lire. L’Andreani oggi non c’è più, sparito per l’ennesima trasformazione immobiliare che ha cambiato il centro di Mantova. Eppure era un teatro storico nato nel 1862 (approfittando della chiusura temporanea del Sociale). L’Andreani prende il nome dal capomastro Pacifico Andreani che lo costruì. Fu pesantemente danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale ma venne ricostruito per chiudere i battenti nel 2001. Qui ricordo di aver visto il Ritorno dello Jedi, proprio nell’ottobre del 1983: eravamo io e mia sorella Roberta e la corsa delle moto aeree nel bosco fu talmente sorprendente come effetto speciale che ce lo ricordiamo ancora. L’Andreani era il cinema dei grandi blockbuster e dei film popolari (mi ricordo di averci visto anche un Rambo II insieme ad un compagno di liceo).

Passiamo poi all’Apollo, il mio preferito. Era al n. 48 di Corso Umberto I. Ebbene qui il mio posto prediletto era la galleria. Soprattutto quando si era bambini al cinema si preferiva andare in galleria perché essendo le poltrone sistemate a scalare non si correva il rischio di sedersi dietro ad una persona così alta da impedirti di vedere il film. Tra l’altro la galleria dell’Apollo aveva una splendida balaustra in legno, dove ci si poteva appoggiare, e due ali che allungavano sui lati come se fossero i ponti di una nave da crociera. Me lo ricordo immenso, ma forse era perché ero un bambino.

Il mio primo ricordo al cinema è di un cinema all’aperto a Castellucchio, di fronte alla piazza dove oggi c’è la farmacia. Lì vidi insieme a mio papà e a mia sorella Il Corsaro Nero con Kabir Bedi, era il 1976.

Il ricordo più bello però è di un film che vidi all’Apollo, un western. Si intitolava Il mio nome è nessuno, regia di Tonino Valerii, su soggetto di Sergio Leone, con Henry Fonda e Terence Hill e colonna sonora di Ennio Morricone. Sono andato a verificare la data di uscita: 1973, avevo 5 anni e mio papà Bruno, un appassionato di western, mi portò a vederlo insieme a lui. Arrivammo a metà film, in una scena dove Terence Hill giocava con un totem indiano girevole a dare schiaffoni ai cattivi, una sorta di giostra del saracino per pedoni.  All’epoca al cinema gli orari delle proiezioni erano un suggerimento, si arrivava quando si voleva e poi si vedeva il pezzo di film che ti eri perso. Ma soprattutto nessuno ti buttava fuori alla fine della proiezione e quindi potevi rivederti il film quante volte volevi. Quella volta convinsi mio padre a rivedere il film due volte e lui accettò. Ancora oggi, quando sento la colonna sonora di Ennio Morricone, non devo nemmeno chiudere gli occhi e torno là, con mio padre, al cinema Apollo. Oggi sotto i portici non ci sono più cinema e nello spazio dell’Apollo, chiuso a metà degli anni ’80, troviamo una galleria commerciale che non ha mai avuto grande fortuna. Ma cosa proiettavano all’Apollo domenica 23 ottobre del 1983? Flashdance di Adrian Lyne, un film icona di quegli anni, con una colonna sonora che fece furore (e sono convinto che anche voi ve la state sentendo suonare in testa).

E’ il momento dell’Ariston, un cinema/teatro come l’Andreani che per le dimensioni ospitava di solito le Assemblee delle scuole superiori con proiezione di film. Tra le assemblee che mi ricordo ci fu quella dove proiettarono La notte di San Lorenzo dei Fratelli Taviani, un film bello ma poco adatto a degli adolescenti che volevano divertirsi. Anche i capolavori vanno visti all’età giusta. Non ricordo dove fu proiettato l’Albero degli Zoccoli di Ermanno Olmi (probabilmente all’Apollo) ma ricordo perfettamente che mia madre ci portò a vederlo, ovviamente la versione in dialetto bergamasco, e io mi addormentai profondamente (ah… come si dorme al cinema…). Ma torniamo all’Ariston. Oggi è ancora in attività ma è stato trasformato nell’unica multisala del centro con le tre sale: sala Manto (472 posti), e le due sale che occupano lo spazio della vecchia galleria Sala Nuvolari (142 posti) e Sala Virgilio (129 posti). E’ l’unico cinema rimasto, insieme al Mignon, ad avere la platea con tutte le poltrone allo stesso livello (e qui non c’è più la galleria a salvare i bambini dalle schiene delle persone alte che impediscono la visione del film). Qui penso di aver visto, ma potrei sbagliarmi, l’Attimo fuggente, un film talmente intenso da avermi portato alle lacrime (come mi accadde anche per il Cyrano de Bergerac con Gerard Depardieu): il cinema è emozione e la sala amplifica le sensazioni e l’esperienza di tutte le persone che, insieme, guardano lo schermo. Cosa proiettavano all’Ariston in quella domenica di ottobre del 1983? Appuntamenti intimi a New York con la sigla V.M.18 che segnalava trattarsi di film porno per adulti. E’ divertente pensare che alle 16.00, in un cinema enorme come l’Ariston, si proiettasse questo tipo di film ma soprattutto mi chiedo se erano esposte le locandine: con che atteggiamento entravano in sala gli uomini e i ragazzi dell’epoca, visto che l’ingresso è tra i più esposti a Mantova? Tra l’altro nella mia memoria la programmazione di film porno era appannaggio del Bios o dei cinema di paese come il SOMS a Castellucchio o l’ormai mitologica sala del castello di Redondesco (che però in questa domenica di ottobre ha in programma E.T. l’Extraterrestre).

E proprio il Bios è il cinema successivo nell’elenco della Gazzetta di Mantova. Il film in programmazione quella domenica era Zelig, diretto e interpretato da Woody Allen e con Mia Farrow (che all’epoca era la compagna dell’attore). Erano programmate 6 proiezioni con prezzo del biglietto diversificato: 5.000 lire, per la platea probabilmente, e in 4.000 lire per la galleria. Il Bios era uno dei cinema più vecchi ancora in attività: la sala era attiva dal 1908 e si può ancora vedere l’ingresso che dava su vicolo del Carbone (da qui viene il nome del circolo che ha sede oggi presso l’Oberdan). Basta guardare in alto e si vedono le decorazioni in stucco in stile liberty, tipiche dei locali di spettacolo. Quando si entrava al Bios e si andava in platea c’erano delle tende molto pesanti da aprire che ti davano la sensazione di entrare in un mondo diverso. Qui ho visto per la prima volta Gremlins di Joe Dante, sobbalzando sulla sedia quando uno dei piccoli mostricciatoli sbuca da un pensile della cucina. Qui ho passato un pomeriggio alla settimana durante il triennio del liceo: ci eravamo iscritti in 3 al Circolo del Cinema, che esiste ancora ma ha sede all’Ariston. Era un modo di vedere film che normalmente non saremmo mai andati a vedere e che a volte ci sorprendevano, a volte non ci piacevano e altre erano semplicemente noiosi. Ricordo Ruben Ruben, sulla storia di uno spiantato poeta inglese, Gli stregati dalla luna di Otar Oseliani e Una cotta importante, con una fantastica e giovanissima Demi Moore. Saltammo un’unica proiezione perché c’era una bella giornata e la rimpiangemmo molto per era L’Impero dei Sensi, che però ci raccontarono con dovizia di particolari alcuni pensionati che frequentavano come noi le proiezioni del primo pomeriggio. Andavamo sempre in galleria che, pur avendo poltroncine particolarmente scomode, ti dava l’idea di quei cinema di una volta dove si poteva dimenticare il tempo che invece continuava a scorrere fuori. Oggi il Bios è stato trasformato in negozio anche se ne riprende il nome una delle sale del Cinecity al Boma, dove si trova anche un pezzo della balaustra in legno.

Procedendo in ordine alfabetico troviamo il Cinema Corso che si trovava sempre sotto i portici di Corso Umberto al numero 48, lo stesso dell’Apollo. Era una sala che mi piaceva meno, più anonima, e dove spesso si tenevano dei comizi politici. Non ricordo che film ho visto al Corso e oggi lo spazio dove c’era il cinema è stato trasformato in un complesso residenziale. E’ incredibile come potessero funzionare allora due cinema affiancati ma in realtà è come se si fosse trattato dell’anticipo della multisala. Il film in proiezione era uno del filone americano che andava di moda all’epoca e che sarebbe proseguito con la serie di American Pie. Il titolo era Porky’s n.2. il giorno dopo. Ecco come sintetizza la trama la Gazzetta: Pretesto per una catena di scherzi la decisione dei soliti amici di mettere in scena un’antologia di Shakespeare che la maggioranza ritiene oscena e vuole impedire.

L’ultimo cinema che si poteva trovare in centro città era il Sociale che prendeva il nome dal teatro perché proprio lì era ospitato. Pensate che esiste ancora la vecchia cabina di proiezione e che un progetto (per fortuna non realizzato, almeno a mio parere) prevedeva la demolizione degli ultimi ordini di palchi per trasformarli in galleria. Mi piaceva andare al cinema al Sociale perché era come vivere la magia del cinema nello spazio fantastico di un teatro d’opera. In quella domenica di ottobre si proiettava Wargames, giochi di guerra di John Badham, un film che fece epoca in un periodo storico in cui la guerra fredda era davvero congelata (ricordate che in prima pagina sulla Gazzetta di quel giorno c’era la notizia di una manifestazione contro il nucleare). Forse ci sono andato anch’io a vederlo ma non ho ricordi particolari del cinema al Sociale, mentre indelebile è la memoria di un Rigoletto, con salita veloce delle scale per prendere posto nel loggione insieme a mia Zia Norma.

Rimangono due sale nel programma pubblicato sul giornale: il cinema parrocchiale di Borgo Angeli, chiamato poi Ciak blu, che quella domenica aveva in programmazione Cani e Gatti con Bud Spencer. Io in quella sala vidi Camera con vista, uno splendido film in costume di James Ivory dove facevano una delle loro prime apparizioni Helena Bonham Carter e Daniel Day Lewis oltre a una imperdibile Maggy Smith che anticipava il serial Downton Abbey. Staccato dagli altri, perché cinema d’essai, c’era anche il Mignon che è tutt’ora in attività in via Benzoni portando avanti una tradizione di proiezioni diverse e fuori dagli schemi. Qui c’era anche il cinema all’aperto, dietro la chiesa di Sant’Apollonia. La proiezione che mi ricordo in questo cinema è quella di Maurice, ancora un film di James Ivory, dove faceva la sua apparizione Hugh Grant. Era uno dei classici film che sceglieva mia sorella Grazia e che io andavo a vedere per farle compagnia. Eravamo in 8 in sala e devo dire che il film mi apparve noioso e per un po’ non cedetti ad altri suggerimenti della sorella maggiore. Domenica 23 ottobre 1983 al Mignon si proiettava La scelta di Sophie, filmone di Alan J. Pakula con Merryl Streep e Kevin Kline.

Nel mese di ottobre non c’erano i cinema all’aperto ma se guardiamo i numeri della Gazzetta di luglio ritroviamo l’Astra che era in Largo Pradella. Sono andato a vedermi lo spettacolo di venerdì 1 luglio 1983 e proiettavano The Wall dei Pink Floyd. Poi il cinema all’aperto sarebbe andato in piazza Castello e qui ricordo che, la serata poteva essere delle più afose, ma dovevi portarti il golfino perché c’erano correnti d’aria che ti aggredivano a tradimento ma almeno tenevano lontane le zanzare. Quando non fu più possibile utilizzare piazza Castello, si fece cinema all’aperto nel chiostro del Conservatorio in via Conciliazione e oggi nel cortile della Biblioteca Baratta.

Oggi i cinema attivi a Mantova centro sono rimasti tre: il Cinema del Carbone (che d’estate porta i film nei quartieri con una bellissima iniziativa), l’Ariston che ha però tre sale e il Mignon. Oggi chi vuole andare al cinema in centro ha meno possibilità ma soprattutto è stato il cambiamento e l’accelerazione delle piattaforme on-line che ha svuotato progressivamente le sale. Eppure sono convinto che il cinema non potrà scomparire perché, per me, non c’è niente di meglio del buio di una sala cinematografica per poter sognare a occhi aperti. Sono d’accordo con la definizione che Alfred Hitchcock dava del cinema: “Il cinema, diceva il grande regista inglese, è la vita con le parti noiose tagliate”.

Giacomo Cecchin, giornalista e guida turistica

Dedico questi due articoli ai miei genitori: Carla, che mi ha insegnato a non chiudere gli occhi quando si ha paura ma ad aprirli di più, e Bruno Cecchin (1935-2017) che amava il cinema senza saperlo perché la sua vita era sempre come un film di prima visione.