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Madonna della MisericordiaLa mostra di Forlì sul mito di Piero della Francesca non è fatta per persone legate alla classica idea di esposizione dove si trovano le opere principali di un artista e un percorso già tracciato in senso cronologico. Piero della Francesca: indagine su un mito è invece una mostra per persone curiose e che abbiano voglia di approfondire la fortuna del pittore di Borgo San Sepolcro nei secoli.  E sgombriamo subito il campo dagli equivoci: di opere di Piero della Francesca a Forlì ce ne sono solo 4 e vedremo alla fine perchè questo rappresenti un valore aggiunto e non una negatività.L’esposizione si apre con la giustapposizione del famoso busto di Battista Sforza di Francesco Laurana al quadro L’Amante dell’ingegnere di Carlo Carrà, due opere lontanissime tra loro eppure legate dal comune riferimento a Piero della Francesca che ritrasse la duchessa di Urbino nel famoso dittico degli Uffizi contrapposta al marito Federico da Montefeltro (il dittico non è presente a Forlì).   confrontoQui si intuisce l’obiettivo che si pone la mostra: far dialogare due mondi distanti come quello in cui vive e lavora il pittore di San Sepolcro e quello che ne vide l’oblio e il successivo recupero. E ancora una volta dobbiamo a Roberto Longhi la capacità propria dei grandi storici dell’arte di aprirci gli occhi e far emergere la grandezza di pittori spesso ingiustamente dimenticati.
Come si diceva all’inizio le opere di Piero della Francesca in mostra sono solo quattro tra cui spicca la Madonna della Misericordia proveniente dal polittico esposto al Museo di San Sepolcro. Un frammento di un polittico ancora con la struttura fortemente gotica e medievale, il fondo oro ne è piena testimonianza, ma che dimostra la capacità di Piero di innovare e la sua abilità nella resa della volumetria dei corpi. Siamo in un momento di passaggio di cui troviamo traccia in molti altri dei quadri esposti e appartenenti ad altri grandi pittori che vivono e animano il quattrocento italiano: da Domenico Veneziano a Andrea del Castagno, da Paolo Uccello e Beato Angelico a Filippo Lippi per proseguire con  la scuola ferrarese e uno splendido Cristo sorretto da Angeli di Giovanni Bellini.Compianto di Bellini I titoli delle sezioni accompagnano il visitatore in questo percorso che lo porta dagli elementi che fanno di Piero della Francesca un pittore unico come la gestione della prospettiva (in mostra è esposta una copia anastatica del De Prospectiva Pingendi di Piero e i volumi del suo amico Luca Pacioli), del colore e soprattutto della luce alla fortuna che gli ha arriso a partire dalla riscoperta ottocentesca per arrivare alla consacrazione da parte di Longhi. Come spesso accade nella storia dell’arte l’esposizione dimostra (anche se a volte si può non essere d’accordo con alcune delle tesi dei curatori) che nulla va perduto e tracce della grandezza di Piero si trovano in pittori dell’ottocento e del novecento italiano che lo eleggono a loro punto di riferimento (vedi la galleria di quadri con la presenza di uova a richiamare quello della famosa Pala di Montefeltro esposta a Brera). La fortuna del pittore di San Sepolcro è come un fiume carsico che scompare e riappare in quadri di pittori anche molto lontani tra loro ma che hanno subito il fascino di uno dei geni del quattrocento italiano. L’esposizione si chiude con un’ultima provocazione che mette a confronto con Piero della Francesca l’opera del francese Balthus e dell’americano Edwuard Hopper.balthus HOPPERBalthus colpito dal pittore di San Sepolcro nel suo viaggio in Italia cerca  la dimensione eterna e senza tempo dei primitivi italiani o dell’arte orientale citando nei Giocatori di carte il san Sigismondo di Rimini. Il secondo invece conferisce sacralità alle architetture e alle scene di quotidianità cittadine e non appare immune, come dice Fernando Mazzocca, “nella serrata costruzione geometrica e luminosa dei suoi paesaggi urbani” dalla luce di Piero. Il fatto che la mostra si chiuda con un pittore americano è una forte suggestione visto che Piero della Francesca muore proprio il 12 ottobre del 1492, giorno della scoperta dell’America. Una mostra complessa eppure stimolante questa di Forlì che invita al viaggio perché dopo averla vista rimane anche una gran voglia di ripercorrere gli itinerari di Piero della Francesca alla scoperta dei luoghi e della cultura che ne hanno creato la grandezza: l’inizio di una personale indagine sul mito.

Giacomo Cecchin

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