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Un altro articolo pubblicato su La Reggia, il giornale della Società per il Palazzo Ducale (che ringrazio nella persona del presidente Gianpiero Baldassari e del direttore responsabile Franco Amadei).
E’ una storia poco conosciuta degli uomini che furono mandati nelle città venete e lombarde per salvare i capolavori artistici dalla furia degli austriaci in caso non avesse retto la linea difensiva del Piave e l’esercito avesse dovuto ritirarsi sul Mincio.
Giuseppe Gerola arriva a Mantova nel 1917 e organizza gli spostamenti delle opere d’arte, lo smontaggio dei Camerini di Isabella e di altri capolavori (senza dimenticare la sua attenzione alle campane mantovane – di questa storia ho parlato in un altro articolo che trovate qui).
Eccovi qui la storia di un Monument Man del 1917.

I Monuments men del 1917: Giuseppe Gerola a Palazzo Ducale dopo Caporetto
Il 24 ottobre del 1917, giorno della disfatta di Caporetto, rimane nella memoria come una delle giornate più tragiche della storia nazionale arrivando ad entrare nel modo di dire “è stata una Caporetto” a sottolineare una assoluta disfatta. In quei giorni oltre alla preoccupazione per la necessità di organizzare una resistenza sul Piave e al pensiero dei profughi che fuggivano davanti alle truppe austro-tedesche scattò anche un piano per evitare che in caso di ulteriori ritirate i capolavori dell’arte italiana fossero lasciati nelle mani dei nemici. Si trattò di una missione alla “Monuments Men”, come succederà nell’Europa occupata e poi liberata durante la seconda guerra mondiale.
A Mantova arrivò nel dicembre del 1917 Giuseppe Gerola, soprintendente ai Monumenti della Romagna, perr le “operazioni di sgombero” (così nel gergo burocratico del Ministero) degli oggetti d’arte nella Provincia di Mantova. Di lui abbiamo già parlato in un recente articolo sulla Reggia[1] per ricordare un suo curioso censimento delle campane di Mantova compiuto proprio nel 1917 la domenica 16 dicembre e il lunedì 17 dicembre salendo sui campanili cittadini, in considerazione del rischio che in caso di arrivo delle truppe nemiche il bronzo delle campane fosse requisito e fuso per farne cannoni.
Oggi invece raccontiamo della sua missione in città per lo spostamento delle opere d’arte a rischio furto da parte degli austriaci nel caso la linea del Piave non avesse retto e si dovesse organizzare una nuova resistenza sul Mincio. Si trattò di un’operazione che prese in carico anche tutti i capolavori della Regione Veneta e fu eseguita in tempi strettissimi. Anzi a scorrere gli elenchi si nota la differenza tra l’elenco di opere delle Venezie, molto più lungo e articolato e quello di una Mantova in cui il Palazzo ducale era in fase di restauro e le raccolte d’arte erano già state molto depauperate dalla grande vendita gonzaghesca, dal Sacco e dal passaggio di Napoleone. Per ricordare alcuni capolavori veneti trasportati lontani dal fronte pensiamo alle statue del Gattamelata (Padova), a quella di Bartolomeo Colleoni (Venezia) e di Cangrande della Scala (Verona) che finirono a Roma o alla pala dell’Assunta di Tiziano che finì per essere trasportata via acqua fino a Cremona dove fu alloggiata nel museo Ala-Ponzone (con gli italiani sulle rive che salutavano il dipinto sul barcone come se si trattasse di una processione).
Ma come avvenne la scelta degli oggetti da prelevare? Il Ministero indicò in particolare i gabinetti isabelliani (che furono smontati, imballati e spediti) ma Giuseppe Gerola si fece guidare dal desiderio di salvare il salvabile, mettendosi anche nei panni dei tedeschi che avrebbero potuto arrivare a Mantova. Ecco cosa scrive nella sua relazione: “Quanto agli altri oggetti da salvare, si ebbe cura di trascegliere sia i capolavori di sommo pregio, sia le opere d’arte di maggior importanza per la storia locale, sia finalmente tutto ciò che potesse sembrare maggiormente appetibile al nemico per essere meglio noto o per rivestire speciale interesse per il pubblico tedesco”.Da Mantova quindi partirono tra gli altri i gabinetti isabelliani, il Rubens, il Morone e la statua di Virgilio in cattedra (che oggi si trova al museo di San Sebastiano) dal Palazzo ducale, 45 pezzi dal museo statuario della Biblioteca comunale, dalla Cattedrale furono invece tolti la Santa Margherita del Brusasorci e il San Martino di Paolo Farinati. Tutti imballati in 85 casse le prime opere d’arte partirono da Mantova il 6 e il 7 dicembre su tre vagoni ferroviari alla volta della Toscana. Ecco il testo integrale della Relazione di Giuseppe Gerola.
Relazione del R. Sovraintendente dei Monumenti della Romagna incaricato delle operazioni di sgombero di oggetti d’arte conpiute (sic!) nella provincia di Mantova [2]
Lo sgombero degli oggetti d’arte della città di Mantova e di quella parte della provincia che resta al di fuori delle linee del Mincio e del Po, fu uno dei provvedimenti precauzionali suggeriti dalle disgraziate vicende delle nostre armi dopo la rotta di Caporetto. Poiché il Ministero stesso aveva espresso il divisamento che si dovessero portare in salvo anche i soffitti intagliati, le tarsie parietali e la porta marmorea dei famosi gabinetti di Isabella d’Este nel palazzo ducale, la delicata operazione della smontatura e dell’imballaggio venne affidata a due specialisti di Milano, Ambrogio Brianza ed Enea Giannoni, i quali, malgrado la fretta onde erano pressati, poterono assolvere il difficile loro compito nel mentre stesso che il prof. Giovanni Nave compilava i rispettivi rilievi per il futuro lavoro di ricomposizione. Quanto agli altri oggetti da salvare, si ebbe cura di trascegliere sia i capolavori di sommo pregio, sia le opere d’arte di maggior importanza per la storia locale, sia finalmente tutto ciò che potesse sembrare maggiormente appetibile al nemico per essere meglio noto o per rivestire speciale interesse per il pubblico tedesco. Oltre a ciò, parve opportuno di prendere in consegna gli oggetti maggiormente esposti ai pericoli della guerra od alla rapina della soldatesca nemica o anche quelli che ad altri sarebbe stato agevole fare scomparire col pretesto delle belliche vicende. Nè infine furono trascurate quante altre opere di valore i proprietari stessi ebbero a dimostrare il desiderio che fossero poste sotto la salvaguardia del governo. Il tutto naturalmente contemperato alle imperiose esigenze di tempo e di spesa, e subordinato alle difficoltà di trasporto di oggetti eccessivamente voluminosi e pesanti, troppo delicati o solidamente infissi al loro posto. La prima spedizione, partita da Mantova alla volta della Toscana il 6-7 dicembre 1917, comprese ben 85 casse, disposte in tre vagoni ferroviari. La seconda, in data 2 gennaio 1918, si limitò a due soli carri, con altre 33 casse. Dal palazzo ducale, oltre ai gabinetti di Isabella, partirono tutti i principali oggetti di proprietà governativa o colà già depositati dai vari enti cittadini, che dovranno costituire il principale nucleo del futuro museo: fra essi il noto quadro storico di Domenico Moroni (sic!) colla battaglia fra i Bonacolsi ed i Gonzaga, la grande tela del Rubens, il messale miniato di Barbara di Hohenzollern, il simulacro di Francesco Gonzaga di Giancristoforo Romano, altri ritratti e busti della famiglia, la statua di Virgilio del 1242, le migliori opere del Feti, alcuni arazzi, ecc. La Biblioteca Comunale si spogliò di ben 45 pezzi del famoso suo museo statuario, senza contare altri quadri, monete, medaglie, pesi, ecc. E cinque ritratti Gonzagheschi consegnò l’Accademia Virgiliana. La Cattedrale vide partire un Brusasorci ed un Farinati, i sei arazzi del 1598 e due paramenti preziosi. Altri arazzi, apparati e suppellettili di eccezionale valore, fra cui il fermaglio del 1562 ed il Cristo del Giambologna, diede la basilica palatina di S.Barbara; mentre la basilica di S.Andrea concesse, fra l’altro, i migliori dei suoi quadri Mantegneschi, la grande pala del Costa, il busto in bronzo del Mantegna stesso e il monumento sepolcrale di Margherita Malatesta. Altri dipinti, paramenti e vasi sacri furono raccolti dalle chiese di S.Barnaba, S.Egidio, S.Leonardo (tavola del Francia) e S.Maurizio (due pale di Lodovico Caracci) e dallo spedale civile. Da persone private furono accettate una tavola di Casa Anselmi e quattro sopraporte di proprietà Sacchi. Nei dintorni finalmente fu messo in salvo la tempera mantegnesca di Curtatone, i numerosi arazzi del secolo XVIII di Pozzolo ed il tabernacolo marmoreo di Francesco di Simone del 1486 della parrocchiale di Ostiglia”.
Noi sappiamo come andò a finire e che, per fortuna, il Piave resse l’urto delle armate nemiche e rese inutile lo spostamento delle opere d’arte. Fu una prova generale per quello che successe poi nella seconda guerra mondiale con i Monuments Men e con gli eroi che salvarono il patrimonio italiano dalla guerra. Per Mantova la fine della guerra portò invece una bella notizia: il ritorno degli Arazzi tessuti su cartoni di Raffaello. Questi capolavori erano rimasti in Austria dopo il 1866 e tornarono a casa dopo la vittoria nella prima guerra mondiale. Dopo tanti furti, vendite e saccheggi uno dei pochi recuperi al patrimonio di Mantova.

[1] Campane e Campanili, Giacomo Cecchin, La Reggia n. 3 – settembre 2017 pag. 5

[2] Giuseppe Gerola, Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione, IX-XII (1918) (SETTEMBRE-DICEMBRE – ANNO XII) reperibile on-line al link http://bit.ly/2soAz2x

Da La Reggia – n1/2018