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Ancora pochi giorni per non perdersi una mostra davvero ben fatta. Si tratta di quella dedicata a Tintoretto in occasione dei 500 anni dalla nascita del pittore veneziano, allestita negli spazi dell’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale. L’esposizione chiude il 6 gennaio 2019 per poi spostarsi a Washington (qui potete andare al sito ufficiale della mostra).
Questa mostra è un piacere per gli occhi (con una serie di capolavori assoluti e degli splendidi disegni) e uno stimolo per la mente. Spesso infatti nelle mostre dedicate a Tintoretto (a Venezia per l’ultima monografica dedicata a Jacopo Robusti dobbiamo tornare però al 1937) si passa dalla grande efficacia dei dipinti del maestro a tele di qualità inferiore perché realizzate quasi solo con l’intervento della bottega. Nella mostra di Palazzo Ducale è stata fatta una selezione di opere di altissima qualità e questo stupisce ancora di più nella sezione dedicata ai ritratti che ci presenta un Tintoretto che non ha nulla da invidiare, anzi, al più celebrato Tiziano, un foresto che veniva dal Cadore. Tintoretto è infatti uno dei pochi pittori di Venezia “centro” (Giorgione veniva da Castelfranco, per Bassano, Pordenone si intuisce la provenienza) e ha sempre vissuto male la rivalità con il vecchio Tiziano e il giovane Veronese, un altro straniero. Tra l’altro ci sono tele che vengono da tutti i maggiori musei del mondo e che consentono di ripercorrere tutta la carriera del pittore entrando anche nel dietro le quinte della bottega. Ed è qui che questa mostra ha uno dei due elementi che la rendono davvero imperdibile (del secondo parlerò alla fine): la possibilità di capire il metodo di lavoro di Tintoretto ma anche e soprattutto la sua modernità dal punto di vista del marketing. Il pittore infatti lavora per le grandi scuole veneziane (un discorso a parte va fatto per la Scuola Grande di San Rocco) ma anche per molti committenti privati e sfrutta il suo essere il “più arrischiato pittore del mondo” per conquistare quote di mercato. Sono tecniche che ancora oggi hanno una loro efficacia: ad esempio regala dipinti facendosi pagare solo il costo del materiale per riuscire ad entrare in un mercato e farsi poi commissionare altre opere; dipinge un quadro per il futuro doge anche senza avere avuto l’ordine e quando l’opera non viene accettata dipinge sul ritratto maschile il volto di una Santa Caterina, mantenendo gli stessi abiti e rivendendo la tela; riutilizza frammenti di dipinti e li cuce insieme a creare una nuova composizione, passando da una crocifissione ad una natività oppure nella tradizione delle botteghe inserisce in dipinti diversi gli stessi personaggi variandone genere e abbigliamento; da ultimo Tintoretto non replica le sue composizioni ma continua a innovare facendo della sua capacità di invenzione (oggi diremmo innovazione) un elemento di forza della sua arte. La mostra è davvero stimolante e consente di rendersi conto del metodo di lavoro delle botteghe rinascimentali italiane e di come i grandi artisti fossero anche grandi imprenditori. E ora arriviamo al secondo elemento che rende imperdibile questa mostra: i due autoritratti di Tintoretto, quello che apre la mostra e quello che la chiude. E’ un’emozione unica guardare negli occhi il giovane Jacopo Robusti, spettinato e che si gira, apparentemente disturbato dalla nostra intrusione, con occhi che parlano della sua voglia di conquistare il mondo della pittura. Il pittore non ha nemmeno il tempo di mettersi in posa per un ritratto di rito, e ruba uno sguardo impegnato com’è tra un dipinto e l’altro. Al termine della mostra dopo aver sperimentato la forza, l’energia, la voglia di arrivare e la passione per l’invenzione e la bellezza di Tintoretto, lo si incontra di nuovo nell’Autoritratto del Louvre. E’ un uomo di successo, un pittore che si ferma un po’ più a lungo per descrivere il suo aspetto in una visione frontale più tranquilla e serena. Eppure lo sappiamo bene che il tempo ci cambia ma ci sono alcune cose che non cambiano mai: la luce negli occhi e il fatto che ancora una volta, pur in posa, Tintoretto abbia una barba assolutamente non pettinata, lui non ha tempo se non per il lavoro. Questi due autoritratti sono davvero dei capolavori e la differenza con i ritratti di Tiziano è eclatante: Tintoretto ti guarda negli occhi e si mette sul tuo stesso piano, Tiziano invece guarda sempre in un punto un po’ oltre, quasi a sottolineare la differenza di livello tra noi e lui.

Avete ancora pochi giorni per non perdervi una mostra davvero energizzante.

N.B. per i mantovani ci sono due motivi in più per andare a Venezia: uno è la possibilità di vedere il quadro Il Ratto di Elena, attualmente a Madrid, ma che proviene dalle collezioni di Casa Gonzaga e l’altro di osservare da vicino un disegno preparatorio per la Battaglia del Taro, uno degli otto teleri commissionati dal Duca Guglielmo Gonzaga a Tintoretto per le sale dei marchesi e dei duchi nell’Appartamento grande di Castello (oggi sostituiti da fotografie perché gli originali sono alla Alte Pinakoteke di Monaco di Baviera. Tra l’altro Mantova è l’unica altra città, almeno secondo alcuni studiosi, che vede la presenza di Tintoretto oltre a Venezia.
Per approfondire
Il sito della mostra a Palazzo Ducale di Venezia
Il Giovane Tintoretto, la mostra alle Gallerie dell’Accademia
La Scuola Grande di San Rocco, la “cappella Sistina” di Tintoretto

Le immagini sono coperte dai diritti d’autore dei rispettivi proprietari e sono pubblicate d’intesa con l’ufficio stampa della mostra.