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Ed è tornata la Pasqua, quest’anno un po’ strana con questo esilio forzato che comincia a stare stretto e avrebbe impedito anche alle pie donne di andare al sepolcro del Cristo per scoprire che era risorto.
E anche la corsa dei due discepoli, uno dei passaggi del vangelo che mi emoziona ogni volta che lo leggo, non si sarebbe fatta.
Ecco il passo di Giovanni (20, 1-9)
1. Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. 3.  Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7. e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Questa corsa dei discepoli sembra di vederla, di viverla in presa diretta, con Giovanni che corre più veloce e supera Pietro, arriva al sepolcro ma si ferma e alla fine è l’ultimo arrivato a entrare per primo e a credere…
Leggendo questo passo del Vangelo mi è venuta in mente una splendida tavola di Andrea Mantegna oggi conservata al museo di Copenaghen.
L’ho vista dal vero in occasione della mostra mantovana del 2006 sul pittore: un quadro splendido per resa, colori, conservazione. Il Cristo è sorretto da due angeli, un cherubino e un serafino, e si appoggia ad un sepolcro antico. Sullo sfondo si vedono le due donne che arrivano, un paesaggio e dei cavatori, come nella Madonna delle Cave degli Uffizi (anch’essa presente nella mostra mantovana del 2006).
Ogni volta che entravo in mostra con un gruppo, al termine del percorso tornavo là, davanti al Cristo di Copenaghen e mi perdevo nei fantastici dettagli e nella cura meticolosa di Mantegna, quasi una miniatura fiamminga, e ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo.
Ecco cosa scrive di quest’opera Giovanni Agosti:
“Non è da escludere che a questo periodo romano possa risalire anche il Cristo sostenuto da angeli, un cherubino e un serafino, a Copenaghen, una delle tavole meglio conservate di Mantegna, che ha tanti punti di contatto con la Madonna delle Cave (anche se il sistema dei panneggi, come mi fa notare Luciano Bellosi, appare più arcaico). E, ancora una volta, i cavapietre sono al lavoro: ma qui c’è anche chi sta scolpendo una statua. Mentre era a Roma, mentre doveva fronteggiare la tirchieria del papa committente, non si ha l’impressione che Mantegna si sia dato ad una scrupolosa ricognizione dei resti antichi di cui la città era piena: le sue conoscenze antiquarie non progrediscono vistosamente. Qualcosa rifluisce nell’impresa dei Trionfi ma non basta a cambiare l’approccio, romantico e non professionale, messo a punto a vent’anni, al tempo dei lavori agli Eremitani.” (pag. 52 Su Mantegna I – la storia dell’arte libera la testa – Giovanni Agosti – Feltrinelli editore 2005).
Quando sarà finita, forse è tempo di tornare a Copenaghen, dal Cristo di Mantegna, a reincontrarlo come farò con i vecchi amici e mi ricorderò di questa Pasqua di resurrezione, reclusa ma che non toglie la speranza.
Auguri di buona Pasqua ai lettori.
Giacomo Cecchin

Per approfondire
La tavola di Mantegna sul sito del Museo di Copenaghen
La pagina di Wikipedia sul Cristo sorretto da angeli
Giovanni Agosti parla di Mantegna al Festival della Mente di Sarzana (2008)
Il catalogo della Mostra su Mantegna, al Louvre nel 2008, curata da Giovanni Agosti e e Dominique Thiébaut