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Il 26 settembre 2020 ho partecipato ad un’iniziativa dal titolo Chiostri e Inchiostri, una passeggiata per Mantova con tappe nei monasteri e nei conventi.

La scelta dei chiostri ha privilegiato quelli ancora legati ad un uso religioso. Oltre alla passeggiata guidata sono stati inseriti degli interventi di “testimoni” che hanno raccontato la loro clausura leggendo dei testi.
Io sono stato molto contento di partecipare e ho avuto l’onore di parlare nel chiostro di Santa Maria del Gradaro. Per chi avesse voglia di leggerlo ecco il mio intervento.

La clausura involontaria tra luoghi e regole
di Giacomo Cecchin

Ricordate il giorno in cui vi siete chiusi in casa pensando che sarebbe durata poche settimane e poi invece sono passati due mesi?

Io lo ricordo distintamente: era lunedì 16 marzo.

Al mattino alle 8.00 uscivo per andare in ufficio e alle 11.00 rientravo a casa con quello che ero riuscito a recuperare per continuare a lavorare.
Il cellulare, il PC, una risma di carta, qualche pratica aperta e alcuni pennarelli.

A casa mi hanno dedicato un angolo dell’ingresso, con la finestra a destra, una credenza piena di bicchieri alle spalle e un tavolo enorme.

Sarei tornato al lavoro lunedì 4 maggio.

In realtà ho fatto il telelavoro. Smart non lo sono nella vita privata figurati sul lavoro.

Però la quarantena non mi è pesata. Perché io l’ho trasformata in una clausura.

E mentre la quarantena è obbligatoria, la clausura è volontaria.
Provate a cambiare approccio e punti di vista.
– “Io devo stare a casa” è QUARANTENA.
– “Io scelgo di stare a casa” è CLAUSURA.

Come quella dei monaci o dei frati.

Clausura, Chiostro e qui siamo proprio in un chiostro che fu anche Benedettino.
Tu parli bene, mi ha detto qualcuno, perché non vivi da solo e hai un giardino.

E’ vero però io non ho detto di aver scelto di fare l’eremita che sta da solo o lo stilita che sta su una colonna.

Io ho scelto la clausura che viene vissuta all’interno di una comunità che ha ovviamente i suoi luoghi, i suoi ruoli e soprattutto le sue regole.

E la mia casa è diventata quasi come un monastero.
Io lavoravo nello scriptorium: il computer ci ha trasformato in amanuensi digitali e io ho scritto ogni giorno, con disciplina e costanza.

Mangiavo nel refettorio a orari condivisi con gli altri monaci che vivevano con me, sorella Giovanna e fratello Filippo.

E poi la biblioteca dove facevamo ricerca di mondi alternativi e di realtà dove il covid non poteva arrivare come nel mio caso la Fattoria Mckenzie, quella di Lupo Alberto. Come diceva Cicerone nella vita bastano una biblioteca e un giardino.

Ecco il giardino era il nostro chiostro dove camminare seguendo il ritmo delle colonne, nel mio caso le piante.

E poi il dormitorio, posto al piano superiore come nei monasteri cistercensi.

Oltre ai luoghi la nostra vita monastica prevedeva i ruoli.

L’abate era Giovanna, eletta dagli altri due monaci a maggioranza assoluta perché in grado di risolvere i problemi di tutti. Io ero il cellerario che andava a fare la spesa con le indicazioni dell’abate che era anche cuciniere.

Filippo invece un novizio, ancora sulla via della crescita umana e personale e dedito principalmente allo studio anche se adibito saltuariamente a lavori manuali come lo sfalcio dell’erba.

Noi eravamo come dei benedettini, legati al monastero, alla comunità e all’ora et labora.

E avevamo delle regole, ci siamo creati una regola. Una regola non scritta e che poteva cambiare secondo le nostre esigenze.

E voi penserete che allora non eravamo veri benedettini perché loro, i monaci, la regola non la possono cambiare.

Ma in realtà, come diceva il Cristo, il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato. E anche la regola di San Benedetto è possibilista, è flessibile perché i santi conoscono gli uomini  e le loro debolezze.

Quella benedettina è una regola a misura d’uomo. Pensate anche alla regola francescana. Francesco la riscrive varie volte perché i frati ritengono la prima versione troppo dura.

E anche i benedettini cambiano interpretazione della regola: i cistercensi criticano i cluniacensi perché dicono che si sono allontanati dalla regola originaria e poi arriveranno i trappisti a criticare gli uni e gli altri. Tre famiglie diverse con una stessa regola ma applicata secondo diversi punti di vista.

Ecco perché ho titolato il mio intervento “La clausura involontaria tra luoghi e regole”.

La clausura involontaria è diventata una scelta per la tutela nostra degli altri e la nostra casa si è trasformata in una vera e propria comunità monastica con i suoi luoghi e le sue regole.

La clausura non mi è pesata quindi, se non in alcuni momenti quando, da perfetto italiano, visto che mi era vietato io, che non sono uno sportivo, avrei voluto correre la maratona, io che non sono un nuotatore avrei voluto andare in piscina, io che non vado in discoteca da tempo, avrei voluto lanciarmi in balli di gruppo.

Ma bastava poco per ripartire: si andava nella biblioteca monastica e si leggevano storie per vivere altre vite.

Non pensate che la regola di San Benedetto sia un testo superato e che abbia un significato solo per gli uomini di fede.

Vorrei chiudere leggendovi un passo della Regola per farvi capire quanto sia perfetta anche per l’uomo d’oggi. Cap.4, versetti 65-74
“Non odiare nessuno.
Non nutrire gelosia.
Non assecondare l’invidia.
Non amare i litigi.
Fuggire l’alterigia e l’arroganza.
Venerare gli anziani. Amare i giovani.
Nell’amore di Cristo pregare per i nemici.
Tornare in pace con chi si è in contrasto prima che tramonti il sole.
E della misericordia di Dio non disperare mai”
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Ecco l’elenco completo dei testimoni coinvolti nel percorso.
Piazza Leon Battista Alberti – inizio del percorso 
1° testimone:  Igor Cipollina  

chiostro di San Francesco
2° testimone: Simona Pezzali 

chiesa e chiostro di Sant’ Orsola
3° testimone: Alessandra Azimonti 
 
chiostro san Barnaba
4° testimone: Francesca Camerati
 
chiostro di S. Maria del Gradaro 
5° testimone: Giacomo Cecchin

Il percorso si è chiuso all’interno dell’Orto Carolingio, di recente allestito nello spazio coltivato ad orto dalle suore negli anni sessanta.