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Teatro Sociale - interno
Teatro Sociale – interno

Il nome di Mantova è pronunciato in quasi tutti i teatri del mondo quando guardando in alto, sopra il palcoscenico, si indica la mantovana, un tendaggio di rifinitura che attraversa l’arco scenico sopra il sipario. Naturalmente il nome della nostra città ricorre anche in commedie, tragedie e svariate opere teatrali e liriche ma effettivamente è solo visitandola che se ne possono cogliere pienamente i caratteri fortemente teatrali.
Basti pensare alle piazze mantovane, veri e propri palcoscenici su cui si sono recitati alcuni tra i più importanti momenti della storia cittadina.
Piazza grande di San Pietro, l’attuale piazza Sordello, vede la cacciata dei Bonacolsi nel quadro di Domenico Morone che rappresenta il colpo di stato gonzaghesco del 1328. Nulla può togliere tuttavia alla piazza il suo essere palcoscenico del potere dei Gonzaga e allo stesso tempo sagrato della cattedrale: un microcosmo che trova il suo eguale in scala minore in piazza Canossa. Peccato sia stata demolita l’esedra cinquecentesca che univa la facciata di Palazzo ducale al Duomo, chiudendo scenograficamente questo spazio urbano.

Esedra di Piazza Sordello prima della demolizione
Esedra di Piazza Sordello prima della demolizione

Piazza Broletto e Piazza Erbe sono le immagini della Mantova da cartolina e sono i luoghi più frequentati della città. Difficile trovare mantovani che si attardino in piazza Sordello: forse troppo grande lo spazio, troppo pesanti i segni del potere.
Il Broletto è uno scenario da romanzo medievale, sorvegliato dal “clarissimus Virgilio”, nume tutelare della città, e sovrastato dalla torre del comune e dalla minacciosa gabbia gonzaghesca. Ben nascosti sotto il voltone dell’Arengario stanno gli anelli per la tortura dei tratti di corda che forse attendono chi ha deciso di aprire il Mac Donald che cucina hamburger e patatine sotto gli occhi del poeta.
L’uscita di scena è d’effetto, entrando nel Sottoportico dei lattonai con lo scalone che riporta suggestioni shakespiriane di balli, di danze e di fughe notturne. Piazza Erbe ci aspetta in una vivace giornata di mercato con il ghetto di Shylock nascosto dietro la cortina merlata e la casa del mercante con la sua insegna pubblicitaria medievale scolpita nel marmo. Qui tutto parla del Graal, dei templari e della grancontessa Matilde: dalla Rotonda di San Lorenzo agli affreschi del Palazzo della Ragione, dai portici che chiudono la Basilica di S.Andrea ai Sacri Vasi custoditi nella cripta. Questo è il vero palcoscenico dei mantovani, il centro della vita cittadina, il culmine del rito vascarolo.

Piazza Canossa con l'edicola liberty
Piazza Canossa con l’edicola liberty

Le due piazze più teatrali sono poco lontane: piazza Leon Battista Alberti dietro la Basilica con il chiostro medievale e una casa che potrebbe sembrare quella dello speziale che vende il veleno a Romeo, prima del ritorno a Verona. Si arriva poi passando per vicoli stretti in Piazza Canossa dove il palcoscenico si restringe prospetticamente accompagnato dalla quinta del Palazzo dei Canossa e dalla facciata della piccola chiesa del Terremoto. L’edicola liberty in ferro battuto movimenta la scena e la rende perfetta per una commedia borghese di fine ottocento.
Non bisogna dimenticare tuttavia che i luoghi più teatrali si trovano all’interno dei palazzi gonzagheschi. I cortili di Palazzo ducale sono studiati per le cerimonie di corte: Piazza Castello che vide l’arrivo di Filippo II di Spagna come ci ricorda un grande telero del Tintoretto; Piazza Santa Barbara con la facciata della basilica palatina e l’ascesa verso il Paradiso; il cortile della Cavallerizza che Olmi ha immortalato nella scena del torneo del suo “Il Mestiere delle armi” e che si apre scenograficamente sul lago, palcoscenico acquatico per le naumachie gonzaghesche; il giardino dei semplici e soprattutto quello pensile sono perfetti scenari per i giochi di corte e per gli scambi amorosi tra il duca e Gilda, inseguiti dalla ricerca affannosa di Rigoletto.
Senza dimenticare, dalla parte opposta della città, il cortile cilindrico della casa del Mantegna con le finestre a costituire i palchi per assistere al ripetersi dello spettacolo delle armonie rinascimentali; la loggia del Palazzo di San Sebastiano, anticamera del racconto dei trionfi di Cesare e degli imperatori romani e da ultimo il cortile di Palazzo Te. Qui tutto è finzione dal finto bugnato che copre i mattoni, alle colonne che sorreggono un’architrave traballante, alla simmetria che si rompe nel ritmo delle logge, alle finestre vere e finte che celebrano insieme il genio di Giulio Romano e il suo gusto per l’effetto teatrale.
Gli interni non sono da meno. Nella sala dei cavalli i destrieri gonzagheschi insieme alle divinità del monte Olimpo diventano spettatori delle feste e dei balli di corte. Nella sala da pranzo Amore e Psiche recitano la loro storia per il palato imperiale di Carlo V e concedono spazio agli intrecci amorosi che legano gli dei ai mortali.
Gli affreschi di Giulio Romano raggiungono il loro climax teatrale nella sala dei Giganti dove tutto tenta di coinvolgere gli spettatori nella caduta dei titani, nerboruti personaggi che sembrano uscire dai film in peplo degli anni ’50, scrutati dagli dei e dall’aquila di Giove seduta sul trono sotto la volta.
A Mantova tutto è teatro e i Gonzaga sono i primattori di una storia che vive tuttora negli affreschi della Camera degli Sposi. Su un focolare che funge da palcoscenico il marchese Ludovico e la sua famiglia recitano la commedia di una serena vita di corte. Il sipario si chiude e dall’altra parte si riapre su un paesaggio teatrale che pone sullo sfondo di Bozzolo e dei marchesi Gonzaga un’improbabile Roma imperiale. Andrea Mantegna ci osserva mentre noi alziamo gli occhi rapiti dallo scorcio prospettico che apre la volta della camera sull’azzurro del cielo.
Mantova è il gran teatro del mondo quando il Papa Pio II arriva in città nel 1459 per lanciare una nuova crociata contro i turchi. Mantova è il gran teatro del mondo quando Alberti, Mantegna, Giulio Romano e Rubens la onorano delle loro capacità artistiche. Mantova è il gran teatro del mondo quando fa rivivere il sacco di Roma nel 1630 e perde in un colpo le collezioni gonzaghesche. Mantova è il gran teatro del mondo con l’Orfeo del Poliziano, le commedie dell’Ariosto e del Tasso, Tristano Martinelli e il suo arlecchino, Andreini e la sua compagnia di comici.
Ora invece Mantova è capitale europea del Teatro e dello spettacolo eppure i suoi teatri rimasti languono e faticano a riconquistare il giusto spazio.
Scriviamo teatri rimasti perché sono perduti gli spazi teatrali di Palazzo ducale. Non esiste più quello del Viani che era situato all’altezza dell’attuale via Teatro vecchio nei pressi dell’Osteria della Fragoletta, né quello del Bertani e successivamente del Piermarini trasformato dalla spinta del progresso in Mercato dei bozzoli.
Forse non aveva tutti i torti Charles Dickens che nel 1844 provenendo da Verona definì Mantova “rusty and stagnant”, arrugginita e stagnante.
Restano certo il Bibiena e il Teatro sociale oltre ad altre piccole sale tra cui piace ricordare il Teatrino di Palazzo d’Arco e la sua splendida compagnia Campogalliani.
Sono tuttavia per lo più utilizzati per la musica. Non che sia un male, ma sarebbe bello sentirli risuonare nuovamente delle voci degli attori. Perché il teatro è vita e, come scriveva Shakespeare, tutto il mondo è palcoscenico e tutti noi uomini e donne semplicemente attori.