
E’ del 22 dicembre 1216 la bolla con cui papa Onorio III confermava il consenso alla forma di vita scelta a Tolosa da un gruppo di sacerdoti, impegnati nella predicazione contro l’eresia. E’ la nascita dell’Ordine domenicano che insieme ai francescani (la cui regola è approvata nel 1223) sono i cosiddetti “Ordini Mendicanti”.
Una grande storia quella dell’ordine voluto da San Domenico che ha visto moltissime anime diverse susseguirsi negli 800 anni di storia: a santi come Domenico, Tommaso d’Aquino e Pietro Martire si aggiungono figure femminili come santa Caterina da Siena o, per noi mantovani, la beata Osanna Andreasi; ma non possiamo dimenticare che domenicani furono anche Tommaso Campanella, Girolamo Savonarola e Giordano Bruno (questi ultimi bruciati sul rogo per le loro idee e le loro opere).

Un ordine la cui storia è affrontata spesso basandosi su pregiudizi e su preconcetti. Basti pensare al romanzo di Umberto Eco il Nome della Rosa dove il domenicano Bernardo Gui è non solo inquisitore e cattivissimo ma ha il volto da cattivo di F. Murray Abraham mentre il francescano colto ed equilibrato ha le sembianze di Sean Connery: il cinema ci frega con le facce.
E’ pur sempre vero che i domenicani furono grandi inquisitori (ricordiamo il proverbiale Torquemada) ma anche i francescani lo furono (e con una predicazione a tratti antisemita soprattutto in funzione di contrasto dell’usura). La storia di questi ordini va affrontata senza nascondere gli aspetti più problematici e mettendo in evidenza i loro contributi più importanti dal punto di vista religioso, storico e missionario.
Ad esempio diventa molto interessante studiare i centri storici delle città e verificare dove questi ordini scelsero di costruire i loro conventi oppure affrontare le dispute che contrapposero domenicani e francescani ad esempio sull’Immacolata Concezione di Maria (risolto solo con il dogma da Pio IX nel 1854 vedi a questo link alcuni appunti mantovani su questo tema).
Ne ho parlato anni fa in un incontro dal titolo volutamente provocatorio di Marketing del Monaco che voleva mettere in evidenza come la mission di questi ordini influisse sulle loro scelte anche di collocazione dei conventi.
Per chi volesse approfondire qui trova due articoli usciti di recente su La Lettura del Corriere della Sera dove sottolineo in particolare un passaggio dell’intervista a Antonietta Potente, religiosa domenicana, che parla dell’inquisizione.
Domanda – Che cosa vuol dire essere domenicani oggi e in particolare domenicane?
«Per me significa raccogliere ogni minimo respiro di vita anche là dove la storia è più dissestata, perché Domenico aveva questa grande passione per ciò che respirava. Per Domenico gli eretici erano persone assetate e non nemici della Verità. Con loro dialogava e da loro imparava. Raccogliere ogni minimo respiro di vita non significa porsi come benefattori, ma come compagni di sete. È così che percepisco come questa spiritualità possa essere viva oggi e aiutare la ricerca di quanti, credenti e non, hanno sete e avvertono che la realtà ha ancora possibilità trasformative».
Domanda – Il suo è stato anche l’Ordine dei tribunali dell’Inquisizione…
«Per noi domenicani l’Inquisizione resta come una ferita che ci identificò per troppo tempo con le pratiche violente contro la dignità delle coscienze. Ci vedo un tradimento, tipicamente maschile, per questioni di prestigio, di incarichi nella Chiesa. Un tradimento per una paurosa immaturità, quella di chi non vuole perdere le sue sicurezze, forse anche solo quelle del suo immaginario intellettuale. E pensare che eravamo nati per stare sul confine che si trova più vicino agli inquisiti che agli inquisitori. Ma non tutti tra noi hanno accettato l’Inquisizione. Tanti e soprattutto tante non si riconobbero in quell’esercizio del potere sulle coscienze».
Come vedete la grandezza di questi ordini sta anche nel confronto e nella discussione che esalta anche le differenze di visione e di punti vista.
Giacomo Cecchin


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