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In questa settimana di paure ataviche per il CORONAVIRUS molti hanno suggerito di tornare a leggere I PROMESSI SPOSI e soprattutto la parte relativa allo scoppio della peste e alla sua diffusione. Allora mi sono ricordato che io ho avuto l’occasione di vivere in prima persona nella Milano dei Promessi Sposi e soprattutto di fare esperienza diretta del “Dalli all’untore”.
Quando facevo l’Università infatti fui reclutato insieme ad alcuni amici come comparsa nello sceneggiato televisivo sui Promessi Sposi, per la regia di Salvatore Nocita (qui trovate tutte le informazioni in merito). Era marzo e si girava a Sabbioneta e dal responsabile del casting fui etichettato come popolano: troppo basso per essere un nobile, troppi capelli per fare l’ecclesiastico.
Durante quella decina di giorni avrei interpretato nell’ordine: il popolo inferocito dell’assalto ai forni (girato nella piazzetta di San Rocco a Sabbioneta), l’appestato nel Lazzaretto (ricostruito sempre a Sabbioneta sotto la Galleria degli Antichi) ma ebbi soprattutto una parte magistrale come popolo orante all’interno della chiesa dell’Incoronata per la scena del “Dalli all’untore”.
Provate a dare un’occhiata al video della quinta puntata, partendo dal punto 1 ora, 5 minuti e 30 secondi.

L’EPISODIO DELL’UNTORELO POTETE VEDERE CLICCANDO SU QUESTO LINK

Dopo alcuni primi piani di persone che pregano la scena si allarga e si intravede una persona che entra dal fondo della chiesa: ebbene io sono il ragazzo con i baffi inginocchiato nel primo banco. Quando poi la scena si sviluppa mi si vedrà abbastanza impacciato osservare il momento del “Dalli all’untore”.
In questi giorni, vedendo scene di persone che si allontanavano al primo starnuto, mi è venuta in mente questa scena.

Per chi volesse approfondire:
La pagina di Raiplay con tutte le puntate dei Promessi Sposi di Salvatore Nocita
I Promessi Sposi di Nocita su wikipedia: notizie sullo sceneggiato e sul cast
Qui potete scaricare I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni dal sito di LiberLiber
Su questo blog leggete un approfondimento sulle location mantovane

Qui di seguito riporto un estratto del Capitolo XXXII del romanzo di Alessandro Manzoni che racconta l’episodio dell’untore che entra in chiesa, alla base dell’episodio inserito nello sceneggiato.

Capitolo XXXII

Due fatti ne adduce in prova il Ripamonti, avvertendo d’averli scelti, non come i più atroci tra quelli che seguivano giornalmente, ma perché dell’uno e dell’altro era stato pur troppo testimonio.

Nella chiesa di sant’Antonio, un giorno di non so quale solennità, un vecchio più che ottuagenario, dopo aver pregato alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e prima, con la cappa, spolverò la panca. – Quel vecchio unge le panche! – gridarono a una voce alcune donne che vider l’atto. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!), fu addosso al vecchio; lo prendon per i capelli, bianchi com’erano; lo carican di pugni e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori; se non lo finirono, fu per istrascinarlo, così semivivo, alla prigione, ai giudici, alle torture. “Io lo vidi mentre lo strascinavan così, – dice il Ripamonti: – e non ne seppi più altro: credo bene che non abbia potuto sopravvivere più di qualche momento”.

L’altro caso (e seguì il giorno dopo) fu ugualmente strano, ma non ugualmente funesto. Tre giovani compagni francesi, un letterato, un pittore, un meccanico, venuti per veder l’Italia, per istudiarvi le antichità, e per cercarvi occasion di guadagno, s’erano accostati a non so qual parte esterna del duomo, e stavan lì guardando attentamente. Uno che passava, li vede e si ferma; gli accenna a un altro, ad altri che arrivano: si formò un crocchio, a guardare, a tener d’occhio coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce, accusavano di stranieri e, quel ch’era peggio, di francesi. Come per accertarsi ch’era marmo, stesero essi la mano a toccare. Bastò. Furono circondati, afferrati, malmenati, spinti, a furia di percosse, alle carceri. Per buona sorte, il palazzo di giustizia è poco lontano dal duomo; e, per una sorte ancor più felice, furon trovati innocenti, e rilasciati.

Né tali cose accadevan soltanto in città: la frenesia s’era propagata come il contagio. Il viandante che fosse incontrato da de’ contadini, fuor della strada maestra, o che in quella si dondolasse a guardar in qua e in là, o si buttasse giù per riposarsi; lo sconosciuto a cui si trovasse qualcosa di strano, di sospetto nel volto, nel vestito, erano untori: al primo avviso di chi si fosse, al grido d’un ragazzo, si sonava a martello, s’accorreva; gl’infelici eran tempestati di pietre, o, presi, venivan menati, a furia di popolo, in prigione. Così il Ripamonti medesimo. E la prigione, fino a un certo tempo, era un porto di salvamento.