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Palazzo Te ha da sempre un grande fascino nei confronti dei mantovani e dei turisti. Circondato dagli alberi dei giardini appare quasi per magia un po’ come doveva avvenire per chi ci si avvicinava in passato, uscendo dalle mura di Mantova e attraversando il ponte che collegava l’isola del Te alla città. Palazzo Te è la villa dedicata agli ozi (“honesto ocio” si legge nell’iscrizione della Camera di Amore e Psiche) di Federico II Gonzaga, costruita in soli 10 anni da Giulio Romano e dalla sua bottega e ancora splendidamente conservata, con un ciclo di affreschi unico al mondo. Ma qual è il modo migliore per avvicinarsi alla storia di Palazzo Te? Provare a partire da 5 curiosità tra cavalli, grotte e giardini segreti.

L’origine del nome – solo i turisti possono pensare che il nome di Palazzo Te derivi dalla bevanda nazionale inglese. Per i mantovani andare sul Te vuol dire venire in questa zona della città, soprattutto nel periodo delle giostre che arrivano in prossimità della festa del patrono. Ma allora da dove deriva questo appellativo? Abbiamo solo delle ipotesi e una delle più accreditate fa risalire il Te alla T, ovvero a due strade che si incrociavano a T al centro dell’isola su cui sarebbe sorto il Palazzo che prende il nome dal luogo. Pensate che alcuni viaggiatori che a Mantova non arrivano e se la fanno raccontare disegnano la pianta del Palazzo a forma di T, proprio per questo motivo. Le altre ipotesi fanno invece riferimento al fatto che Te sia una contrazione di Tejetum, termine utilizzato nel Medioevo per designare una prateria a sud di Mantova. Chi avrà ragione? Nel frattempo il nome continua a garantire al palazzo un alone di mistero.

La sala dei Cavalli e le scuderie di Francesco II Gonzaga – La Sala dei Cavalli è uno degli ambienti più famosi di Palazzo Te. Quando si entra dalla Loggia delle Muse si rimane colpiti dagli splendidi destrieri dipinti sulle pareti, che sembrano emergere dal fondo come dei monumenti equestri. Non si tratta di cavalli idealizzati ma di esemplari reali, provenienti dalle scuderie dei Gonzaga e di cui resta anche il nome (basti osservare alla base di quello alla destra dell’ingresso dove ancora si può leggere Morel Favorito). Ecco allora che il gioco di Giulio Romano porta i cavalli dalle scuderie che erano presenti sull’Isola del Te, sulle pareti del Palazzo. L’ala di Palazzo Te che si trova verso la città è preesistente all’edificio attuale e ospitava le stalle gonzaghesche. Se ne intravede la decorazione in un piccolo inserto, posto tra il soffitto ligneo e la finestra, della Camera di Ovidio. Vasari infatti descrive la zona come “aveva [il marchese Federico II]un luogo e certe stalle, chiamato il T, in mezzo a una prateria, dove teneva la razza de’ suoi cavalli e cavalle…”

I triglifi cadenti del cortile d’onore – una delle curiosità più particolari di Palazzo Te si trova nel cortile d’onore. Qui infatti una decorazione a stucco copre la struttura del Palazzo costituita da mattoni e simula semicolonne, architravi, pietre levigate e lasciate a bugnato. E’ uno dei “lucidi inganni” di cui si parla in un testo su Palazzo Te. Qui l’elemento che provoca più stupore è proprio quello dei triglifi cadenti. Se infatti osserviamo i due lati su cui si aprono il portale che conduce all’ingresso e quello che porta alla Loggia di Davide si vedono i triglifi che scivolano verso il basso e comunicano un’idea di assoluta instabilità, visto e considerato che se la situazione fosse reale il Palazzo sarebbe in procinto di rovinare al suolo. Questa “stranezza” si unisce nel cortile anche alle finte finestre decorate a trompe l’oeil e con un fondo in rilievo per simulare la profondità e alla finestra della Sala dei Cavalli con una cornice non completata e lasciata a metà.

Le peschiere – Quando si attraversa il ponte che collega la monumentale loggia di Davide al giardino si notano le peschiere di Palazzo Te. Oggi questa è l’unica acqua rimasta a ricordare il fatto che la villa fosse interamente circondata dal quarto lago di Mantova e che il giardino fosse vivacizzato da fontane e giochi d’acqua. Chissà se risponde al vero il fatto che queste vasche fossero utilizzate come vivai per l’allevamento degli storioni che diventavano pietanze prelibate per i banchetti gonzagheschi. E se così fosse sarebbe davvero un’intuizione geniale quella di Giulio Romano che prevede degli archetti sui lati delle peschiere in modo che si potessero facilmente catturare i peschi che si rifugiavano all’ombra durante la calura estiva. Ancora oggi questi spazi sono tra i più osservati del Palazzo e i bimbi (ma anche gli adulti) non possono evitare di tirare sassolini per richiamare alla superficie le grandi carpe che oggi ne affollano le acque.

La grotta del Giardino segreto – è il particolare che attira di più i visitatori che arrivano fino all’appartamento del Giardino segreto, posto sul lato sinistro per chi osserva l’esedra che chiude il giardino. Tuttavia se la struttura del giardino segreto e della loggia e le stanze che lo circondano sono attribuibili al progetto di Giulio Romano, la grotta risale ad un epoca successiva alla costruzione del Palazzo Te. Prova ne sia il fatto che non viene citata nei documenti cinquecenteschi e che il primo accenno in un documento è del 1595. Questo strano ambiente è da attribuirsi pertanto alla volontà e fantasia del duca Vincenzo I Gonzaga di cui si vedono le imprese all’interno delle nicchie interne che fiancheggiano l’ingresso. L’ambiente ha subito pesanti danni e soprattutto ha perso il suo luccichio madreperlaceo dovuto all’asportazione delle conchiglie che ne ornavano le pareti, insieme a concrezioni rocciose e mosaici. Chissà come doveva risultare questo ambiente quando ancora funzionavano i giochi d’acqua di cui rimangono alcuni tubicini di piombo che servivano a sorprendere i visitatori con zampillii improvvisi come ancora accade a Villa d’Este a Tivoli (o oggi in un qualsiasi Luna park dove l’aria compressa solleva le gonne alle ragazze).

Giacomo Cecchin

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