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Oggi 25 gennaio si festeggia la Conversione di Paolo, uno degli episodi degli Atti degli Apostoli tra i più rappresentati dagli artisti. Molte sono le versioni di questa famosissima caduta da cavallo, come ad esempio quella di Raffaello (qui trovate l’arazzo realizzato su cartoni dell’Urbinate per la Cappella Sistina), quella di Michelangelo (la potete vedere nella cappella Paolina in Vaticano) o quella di Parmigianino (la trovate a Vienna).
Vorrei però raccontarvi una storia legata alle due versioni realizzate da Caravaggio per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma. Il pittore è lo stesso e la storia anche ma quanto diversi sono i risultati finali.
Eccovi la vicenda per intero.

Caravaggio: la storia è la stessa il risultato diverso

Facciamo un salto in avanti verso la fine del 1500. Il sacco di Roma del 1527 ha spostato l’asse dell’arte da Roma alle capitali del Nord. E’ con Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610), un pittore nato a Milano, che si inverte il percorso e la città eterna torna al centro della storia dell’arte. Mai artista fu più vittima dei pregiudizi di questo lombardo che tutt’ora viene perseguitato da una vera e propria leggenda nera. Caravaggio era in effetti un personaggio non facile ma era in tutto e per tutto un uomo del suo tempo: amava il lusso, si batteva a duello e non era disposto a cedere nulla.

A Roma Caravaggio si fa strada lavorando per i committenti più importanti e con una caratteristica che lo accompagnerà per tutta la sua carriera. A differenza di altri artisti non ha una bottega e soprattutto, difficilmente replica le sue opere.

Certo anche a lui capita che la prima versione non piaccia o non sia accettata e allora è costretto a rifarla. Come ad esempio nel caso delle opere destinate alla cappella Cerasi nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma. Il committente gli chiede di dipingere una crocifissione di Pietro e una conversione di Paolo e il contratto che firma il pittore fa invidia a quelli di oggi in termini di clausole, richieste, tempi di consegna e penali. Ancora una volta va ribaltato il pregiudizio di un Caravaggio tutto genio e sregolatezza: è un pittore che rispetta i tempi di consegna e segue in modo molto preciso quanto previsto dal contratto. Tuttavia le prime due versioni su tavola di pioppo non sono quelle che attualmente troviamo nella cappella Cerasi (e una è andata perduta). Non sappiamo infatti quale sia davvero il motivo ma vengono rifiutate o in ogni caso messe sul mercato e vendute. La prima versione della conversione di Paolo è nella collezione Odescalchi a Roma. E’ un’opera di una bellezza sconvolgente ed è completamente diversa dalla seconda versione che è ancora oggi all’interno della chiesa per cui è stata dipinta. La pala Odescalchi è un dipinto su tavola e vede molti personaggi affollare la scena: oltre a Paolo che mentre cade a terra, si copre gli occhi con le mani per l’improvviso bagliore, vediamo un Cristo trattenuto da un angelo e con una fisicità straordinaria, tanto che il suo peso piega il ramo di un albero quasi a spezzarlo. La seconda versione (quella che vediamo oggi in chiesa) pur raccontando la medesima storia rimescola completamente le carte con soli tre figure in scena: Paolo a terra che apre le mani ad accogliere la luce del Cristo e viene sovrastato dal cavallo tenuto a freno da un altro personaggio. E’ la dimostrazione che la creatività di un artista non viene limitata dai paletti che gli si mettono ma ne viene anzi stimolata e il risultato in questo caso è quello di due versioni della medesima storia, completamente diverse e altrettanto efficaci.
(Questo testo fa parte di un breve saggio pubblicato all’interno del libro dal titolo “Competenze e occupazione nell’era della discontinuità” curato da Alessandro Obino e edito da Castelvecchi).

Per approfondire
La Conversione di Paolo su wikipedia
Raffaello – La Conversione di Paolo
Michelangelo – La Conversione di Paolo
Parmigianino – La Conversione di Paolo
Caravaggio – Santa Maria del Popolo
Caravaggio – Collezione Odescalchi

Un testo sulla Conversione dal Pontificio Consiglio della Cultura

Giacomo Cecchin